Le donne che hanno almeno un figlio sanno quanto l’esperienza del parto può essere dolorosa. Una delle pratiche a cui spesso si è fatto ricorso negli anni passati, e a cui ancora oggi talvolta si ricorre, è quella dell’episiotomia. Si tratta di un intervento chirurgico, effettuato nella fase finale del travaglio, che implica il taglio del perineo per favorire l’espulsione del bambino.

A seguito del parto si effettua l’episiorrafia, vengono cioè applicati dei punti di sutura alle lesioni prodotte. Vediamo di cosa si tratta e cosa comporta.

Cos’è l’episiorrafia?

L’episiorrafia è il nome con cui si indica l’applicazione dei punti di sutura a seguito del taglio, conosciuto come episiotomia, che può essere praticato durante la fase finale del parto; è stata praticata sin dal 1700 e oggi rappresenta il più diffuso intervento di chirurgia ostetrica.

Tutte le donne al parto subiscono un trauma perineale che può essere più o meno grave. Secondo uno studio, in più della metà di loro (60-70%) questo trauma richiederebbe di praticare l’incisione chirurgica nota come episiotomia e la successiva episiorrafia, ossia l’applicazione di punti di sutura.

Si sono comparate due tecniche per eseguire l’episiorrafia, a punti staccati e continua. I due metodi hanno dato esiti diversi per quanto riguarda il dolore percepito, gli esiti e la facilità di esecuzione. La sutura è stata eseguita dopo l’episiotomia e l’anestetizzazione della zona interessata. L’applicazione di punti sotto anestesia non è stata percepita come dolorosa dalle donne; in seguito, però, il dolore della ferita è stato avvertito maggiormente nel caso della tecnica a punti staccati.

L’episiorrafia a punti staccati comporta l’utilizzo di una quantità di filo maggiore, e anche l’intervento richiede più tempo. La cucitura a filo unico ha avuto i migliori risultati dal punto di vista estetico, è stata più facile da praticare e ha richiesto meno materiale; ma soprattutto ha provocato meno dolore e le donne l’hanno preferita.

Episiorrafia ed episiotomia

L’operazione di episiotomia viene effettuata nella fase finale del parto per favorire il travaglio e l’espulsione del neonato. Solitamente viene praticata un’anestesia locale prima di procedere all’incisione.

Un’applicazione indifferenziata ed estesa dell’episiotomia non ha vantaggi rispetto a un uso selettivo; per questo, anche se è stata molto praticata in passato, oggi si cerca di ridurre il ricorso a questo tipo di intervento.

L’episiotomia può essere mediana (con un taglio di 4 centimetri) e medio-laterale (con un taglio maggiore, di 6 centimetri). La sutura viene fatta dopo l’anestetizzazione della zona, anche nei casi in cui la partoriente abbia già fatto ricorso ad anestesia epidurale.

L’episiorrafia viene praticata nel momento immediatamente successivo alla fase descritta, cioè subito dopo la nascita del bambino. Si tratta di punti di sutura normalmente riassorbibili.

Tuttavia, l’episiotomia effettuato in fase di travaglio può provocare la perdita di una grande quantità di sangue. Inoltre, i tempi di guarigione della ferita sono più lunghi rispetto ai casi in cui non si interviene chirurgicamente.

Cosa ne pensa la comunità scientifica

episiorrafia

L’intervento dell’episiotomia non solo è molto temuto dalle donne, ma è anche sconsigliato dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), che più volte si è espressa contro la sua diffusione troppo elevata. Questa pratica insieme all’episiorrafia che ne consegue andrebbe evitata, se non in casi di estrema necessità. In Italia, purtroppo, questo intervento è ancora estremamente diffuso nelle sale parto.

Le potenziali complicazioni dell’episiotomia possono essere precoci o tardive. Tra quelle precoci si riscontrano infezioni, dolore intenso, edemi ed ematomi, deiscenza della sutura. Tra le complicanze tardive possono comparire dolore cronico, dolore nei rapporti sessuali, cisti della ghiandola del Bartolini ed endometriosi.

Le lacerazioni spontanee proprie del parto non sono così invasive e piene di conseguenze dannose, se paragonate a quelle provocate dal taglio chirurgico. Inoltre, il tempo che serve per far rimarginare le ferite spontanee è più breve. Non rimangono segni nel lungo termine, e il più delle volte non è necessario praticare l’episiorrafia.

Anche l’uso delle posizione litotomica, la posizione più innaturale per partorire (e tuttavia la più frequentemente usata), non aiuta; e può anzi favorire il ricorso all’episiotomia e all’episiorrafia.

Come riprendersi dalla sutura?

Abbiamo definito l’episiotomia come un’incisione profonda che spesso provoca la perdita di una grande quantità di sangue, e che comporta necessariamente l’applicazione di punti (episiorrafia).

Naturalmente, il tempo di guarigione varia da persona a persona. In generale, però, per riprendersi dalla sutura ci vuole molto di più rispetto alle lacerazioni “naturali”. Inoltre, perché la ferita si cicatrizzi definitivamente non solo passa diverso tempo, ma il percorso di guarigione è anche doloroso.

I punti dell’episiorrafia cadono circa due settimane dopo il parto (si tratta di punti interni che cadono da soli). Già dalla prima settimana provocano fastidi come prurito e bruciore ma anche difficoltà nell’espletare i bisogni fisiologici; il bruciore e il prurito aumentano nella fase finale della cicatrizzazione. Proprio in questa fase il dolore è più acuto e si presentano difficoltà a svolgere azioni quotidiane a cui prima si era abituate, come il semplice alzarsi, sedersi o camminare.

Fondamentali per la guarigione sono la cura e l’igiene della zona vaginale e perineale. Per alleviare il dolore si può applicare del ghiaccio o degli oli essenziali naturali, reperibili in erboristeria.

Infine, non bisogna sottovalutare l’aspetto della sessualità: può volerci diverso tempo perché si torni ad avere rapporti non dolorosi.

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