I nati da parto cesareo hanno un rischio più alto di sviluppare disturbi metabolici e immunitari. Così riferisce microbioma.it, il giornale edito in collaborazione con la Società Italiana di Microbiologia, introducendo la pratica del vaginal seeding (o semina vaginale).

Si tratta di una controversa, in quanto gli studi scientifici non hanno portato a evidenze chiare e anzi ci sono ricercatori, come riferisce il portale WebMD, che la considerano non solo inutile allo scopo, ma addirittura pericolosa per il bambino.

Conosciamola meglio, indagando quali sono i risultati degli studi condotti in materia.

Vaginal seeding: che cos’è?

Come sintetizzato in questo studio, il vaginal seeding ha lo scopo di trasferire i batteri vaginali materni al bambino nato da parto cesareo. Questo perché il neonato non è entrato a contatto con i fluidi vaginali, e l’obiettivo del vaginal seeding è quello di colmare questa mancanza.

Come? Mediante una garza o un batuffolo di cotone imbevuti dei fluidi vaginali materni con le quali pulire la bocca, il naso e la pelle del neonato. In questo modo si trasferirebbero i batteri vaginali materni al neonato, consentendo un’adeguata colonizzazione dell’intestino del bambino e riducendo il rischio di asma, disturbi immunitari e malattia atopica maggiori nei nati da parto cesareo.

La pratica del vaginal seeding, spiega il Cleveland Clinic, viene eseguita circa un’ora prima dell’inizio del parto cesareo. In questa fase il medico prende una garanza di cotone sterile e la inserisce nella vagina. In questo modo sul tessuto si accumula il liquido vaginale contenente i batteri.

Prima di procedere con il taglio vero e proprio, il medico rimuove la garza e la conserva in un contenitore sterile, per poi prenderla subito dopo la nascita del bambino per tamponargli la bocca, il viso e la pelle del corpo.

Il ruolo del vaginal seeding nel parto cesareo

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Fonte: iStock

Per comprendere la pratica del vaginal seeding, è doveroso porre l’attenzione sul microbiota. Si tratta dell’insieme di microrganismi come batteri, funghi e protozoi che colonizzano il nostro corpo. È stato riscontrato, come riportato dal British Medical Journal, che differenze caratteristiche nel microbiota sono associate a diverse malattie, motivo per cui è aumentato l’interesse verso la materia individuando le possibilità, manipolando il microbiota, di promuovere la salute e curare le malattie.

Scopo di alcuni batteri che compongono il microbiota, spiega l’American College of Obstetricians and Gynecologists, è quello di, tra gli altri, stimolare il sistema immunitario, regolare lo sviluppo dell’intestino, prevenire la crescita di batteri patogeni e produrre vitamine.

Naturalmente il trasferimento di questi batteri dalla madre al bambino avviene durante il parto naturale, il contatto pelle a pelle e l’allattamento al seno. Il parto cesareo, quindi, sembrerebbe interrompere questo trasferimento batterico proprio nel momento più delicato della vita del bambino, ovvero l’iniziale sviluppo del sistema immunitario.

Il vaginal seeding è una pratica efficace?

Attualmente non ci sono evidenze sufficienti per stabilire l’efficacia del vaginal seeding, tanto che l’American College of Obstetricians and Gynecologists non la raccomanda e ne scoraggia il ricorso se non all’interno di un protocollo di ricerca approvato dal comitato di revisione istituzionale. Il motivo è legato all’assenza di dati adeguati riguardanti la sicurezza e i benefici di eseguire questa procedura.

Bisogna infatti considerare diversi elementi. Innanzitutto come il parto cesareo non sia una realtà omogenea. Alcuni bambini, infatti, nascono da un parto cesareo dopo l’inizio del travaglio o dopo la rottura delle membrane, mentre altri prima avendo quindi un’esposizione ai batteri vaginali materni molto diversa.

Inoltre, come evidenziato in uno studio pubblicato dalla Frontiers Research Foundation, la composizione del microbioma vaginale materno al momento del parto non influenza la composizione e lo sviluppo del microbioma fecale del neonato.

Senza sottovalutare i rischi legati, mediante il vaginal seeding, di trasferire al neonato batteri nocivi quali l’herpes genitale, la clamidia, la gonorrea e lo streptococco di gruppo B. Infine, come precisato anche dalla Fondazione Veronesi, le differenze significative del microbiota intestinale del bambino erano tali nei primi giorni dopo la nascita, ma già a tre mesi non erano così evidenti.

Le alternative a questa pratica per sviluppare il microbiota neonatale

Il vaginal seeding, quindi, non è attualmente prescritto, raccomandato o consigliato, per assenza di prove chiare e uniformi, da nessuna autorità medico-scientifica.

Per potenziare il microbioma del bambino è possibile favorire il contatto pelle a pelle subito dopo il parto (che contribuisce al trasferimento di circa il 10% dei batteri buoni), promuovere l’allattamento al seno (che consente il trasferimento del 30% dei batteri benefici), ridurre il più possibile il ricorso agli antibiotici e ritardare di almeno 12 ore dalla nascita il primo bagnetto.

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