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La minaccia d'aborto è una condizione che può verificarsi soprattutto nelle prime settimane di gestazione, ma può essere risolta se si interviene in tempo.
La minaccia d’aborto rappresenta un potenziale pericolo per il normale prosieguo della gestazione, e si manifesta principalmente con perdite di sangue dai genitali. Non è un’eventualità remota, e fino al 20% delle gravidanze risultano a rischio di aborto, un’eventualità che interessa soprattutto le primissime settimane di gestazione. Sono diverse le cause che possono portare ad un’interruzione spontanea di gravidanza, e non sempre a un sintomo sospetto corrisponde una minaccia di aborto, anzi.
Capita di frequente che nelle fasi iniziali ogni dolore e ogni nuovo sintomo si accompagni alla paura che qualcosa non vada per il verso giusto: è importante però distinguere i segnali e, in caso di dubbio, è sempre bene consultare tempestivamente il proprio medico.
Per minaccia d’aborto si intendono le condizioni che possono portare ad una spontanea interruzione di gravidanza entro le 24 settimane di gestazione (dopo questa data si parla di minaccia di parto prematuro). Le cause che possono portare a una minaccia d’aborto sono diverse: nel primo trimestre può trattarsi di anomalie genetiche o dalla presenza di patologie materne, come pure ad abitudini scorrette e potenzialmente pericolose (assunzione di alcol e droga, fumo).
A gravidanza più avanzata, nel corso del secondo trimestre, le cause della minaccia d’aborto possono riguardare invece la struttura dell’utero oppure la presenza di infezioni.
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I sintomi della minaccia d’aborto sono diversi, e possono presentarsene più di uno simultaneamente. Tra i sintomi più comuni della minaccia d’aborto si trova il dolore al basso ventre, che si manifesta con moderata intensità e può accompagnarsi a leggere fitte intermittenti, simili a quelle delle coliche e ai crampi. In realtà, un leggero dolore al basso ventre è frequente durante la gravidanza, per i cambiamenti ormonali, per le modifiche degli organi interni e per l’insorgere di disturbi gastrointestinali.
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Un sintomo che può indicare una minaccia d’aborto e che va sempre indagato sono le perdite di sangue vaginali, che si presentano con colore rosso chiaro oppure scuro. Se le perdite sono abbondanti è bene recarsi subito in ospedale: la quantità, accompagnata all’intensità del dolore, può indicare che si è verificato il distacco dell’embrione dall’utero, e può essere già in atto la fase di espulsione.
Sarà il ginecologo a stabilire se si tratta di una minaccia di aborto o, nei casi peggiori, di un aborto già in atto: nel primo caso l’orifizio del collo dell’utero risulta chiuso, e non si osserva materiale fetale. In ogni caso qualora si osservino perdite di sangue bisogna farsi visitare da un medico.
Se il medico riscontra una minaccia di aborto la terapia, quando possibile, dipende dalla causa che l’ha generata. Se il rischio di aborto dipende da cause ovulari, che sono tra le più frequenti (fino al 70% dei casi), la terapia non può impedire l’interruzione involontaria della gravidanza. Se invece le cause sono di altra natura, ad esempio un parziale distacco di placenta, le possibilità che la terapia abbia successo sono migliori, a patto di intervenire tempestivamente.
Per la minaccia di aborto viene solitamente raccomandato alla donna il riposo, e vengono prescritti farmaci in grado di ridurre le contrazioni uterine, come antispastici e anticontratturanti.
In molti casi vengono somministrati poi farmaci a base di progesterone, un ormone in grado di ridurre le contrazioni uterine poiché ne favorisce il rilassamento.
A questo si accompagna la ricerca delle cause che hanno innescato la minaccia di aborto, necessaria per poter predisporre una terapia adeguata. In alcune situazioni può rendersi necessario il ricovero in ospedale, dove può essere praticato il cosiddetto “cerchiaggio dell’utero“, un intervento chirurgico che serve per chiudere l’utero ed evitare che si dilati prima del tempo.
Da ricordare che le donne per cui si evidenzia una minaccia di aborto hanno diritto alla maternità anticipata, e possono astenersi dal lavoro finché la gravidanza non è giudicata priva di rischi.
Articolo originale pubblicato il 23 novembre 2018
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