Gli esami che si effettuano durante la gravidanza si possono raggruppare in due tipologie: esami di screening ed esami di diagnosi prenatale. Al primo gruppo appartengono gli esami non invasivi, che consistono in un’ecografia o in un semplice prelievo di sangue, e che danno come risultato un calcolo delle probabilità rispetto ad alcune anomalie fetali.

Al secondo gruppo appartengono invece gli esami cosiddetti invasivi, che presentano cioè un rischio di abortività anche se molto basso (nei Centri di eccellenza addirittura inferiore all’abortività naturale) ma danno risultati certi.

Tra questi si trovano la villocentesi, cioè il prelievo dei villi coriali, e l’amniocentesi, la tecnica più utilizzata per individuare tutte le anomalie fetali di origine genetica attualmente conosciute. Vediamo nel dettaglio cos’è l’amniocentesi e quando si esegue.

Cos’è l’amniocentesi?

Come detto, l’amniocentesi è un esame di diagnosi prenatale che consiste nell’inserimento di un ago all’interno del sacco amniotico, per prelevare una piccola quantità di liquido amniotico che sarà poi analizzato in laboratorio alla ricerca delle anomalie fetali genetiche.

Come spiega un dettagliato documento redatto da Aogoi, l’Associazione ostetriche e ginecologi italiani

Il prelievo di liquido amniotico viene effettuato per via transaddominale tramite l’inserimento di un ago in cavità amniotica. Immediatamente prima dell’esecuzione della procedura deve essere eseguito sistematicamente un controllo ecografico per confermare la vitalità, valutare il numero e la posizione fetale, escludere una gravidanza multipla, rilevarne la biometria, confermare l’età gestazionale, infine valutare il volume del liquido amniotico e la localizzazione della placenta. […] Con l’introduzione della tecnica monitorata ecograficamente, l’utilizzo continuo degli ultrasuoni durante la procedura, consente la visualizzazione costante del movimento dell’ago e del feto. […] L’inserimento dell’ago viene effettuato sotto visione ecografica e il sito viene selezionato cercando di evitare la placenta.

Una volta inserito l’ago, che viene costantemente monitorato ecograficamente, si aspira una certa quantità di fluido amniotico, quindi si rimuove l’ago sempre monitorando ecograficamente l’attività cardiaca fetale, anche una volta conclusa l’operazione.

Il liquido amniotico prelevato viene poi inviato a un laboratorio di analisi per l’esame dei cromosomi.

A cosa serve l’amniocentesi?

L’amniocentesi serve per esaminare le cellule del feto e studiare il cariotipo fetale, cioè l’analisi dei cromosomi del feto al fine di individuare tutte le anomalie genetiche fetali ad oggi conosciute.

La principale sono la sindrome di Down (o trisomia 21), la trisomia 18 o sindrome di Edwards e la trisomia 13 o sindrome di Patau, oltre ad alterazioni dei cromosomi sessuali. È possibile individuare anche molte altre anomalie genetiche come la fibrosi cistica, la sindrome dell’X fragile e la distrofia muscolare di Duchenne, solo per citarne le più frequenti.

Anonimo

chiede:

Quando si esegue l’amniocentesi?

L’amniocentesi viene eseguita di routine nelle gravidanze considerate a rischio, come le gravidanze geriatriche, cioè se la donna ha dai 35 anni in su, oppure in presenza di anomalie cromosomiche nei genitori, nei figli precedenti o nei parenti stretti.

Altri casi in cui viene eseguita l’amniocentesi sono:

  • presenza di rischio evidenziato nel corso della gravidanza;
  • malformazioni fetali rilevate tramite ecografia;
  • malattie infettive contratte durante la gravidanza;
  • come conferma diagnostica (obbligatoria) in caso di positività dei test di screening.

A seconda del periodo gestazionale in cui viene eseguita, si distinguono due diversi tipi di amniocentesi:

  • amniocentesi precoce: viene eseguita tra la 15^ e la 18^ settimana di gravidanza;
  • amniocentesi tardiva: viene eseguita dopo la 18^ settimana di gravidanza.

Quali sono i rischi dell’amniocentesi?

I rischi legati all’amniocentesi sono dovuti all’interruzione spontanea di gravidanza: il rischio di aborto collegato all’esecuzione dell’amniocentesi è attualmente al di sotto dello 0.5 % e nei Centri dove si effettuano almeno 500 procedure all’anno è di circa 0.03 % e cioè addirittura inferiore al rischio di abortività naturale di chi non la esegue.

Fondamentale è l’abilità del medico e la modalità dell’intervento (eseguito in asepsi e in ambulatorio chirurgico a norma).

I risultati dell’amniocentesi

I risultati dei test “semplici”, cioè per rilevare le anomalie cromosomiche, possono essere disponibili in48-72 ore. Come spiega l’Istituto Superiore di Sanità i risultati dei test più complessi, che analizzano dettagliatamente i cromosomi, solitamente sono disponibili in due settimane.

Se l’esito dell’amniocentesi è esito negativo significa che il feto non ha nessuna delle malattie genetiche ricercate. Se l’esito dell’amniocentesi è positivo il feto ha una delle patologie ricercate. Spiega l’ISS:

I risultati forniscono una risposta di tipo “sì” o “no”. Nella maggior parte delle donne che effettuano un’amniocentesi il risultato sarà negativo, ossia indicherà che il feto non è colpito da nessuna delle malattie genetiche indagate. Il risultato positivo indica, invece, che il feto presenta una delle malattie ricercate con il test. In questo caso le implicazioni del risultato saranno discusse con la coppia per aiutarla a valutare quale sia la decisione migliore da prendere. Per la maggior parte delle patologie genetiche purtroppo non ci sono cure. Se si decide di proseguire la gravidanza è opportuno avvalersi dell’aiuto dei professionisti sanitari per scegliere il luogo più adatto per il parto e predisporre eventuali trattamenti specifici per i bisogni del bambino. Se si decide di interrompere la gravidanza, mediante un aborto terapeutico, si riceveranno informazioni su dove e come effettuare l’intervento in base alla settimana della gravidanza.

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