I bambini spesso giocano a “fare finta di” essere qualcuno, impersonando e inventando ogni volta personaggi fantastici e azioni diverse. Questo modo di giocare è il cosiddetto gioco simbolico, che caratterizza un momento delicato e importante per il corretto sviluppo del bambino.

Ne parliamo con la pedagogista Chiara Mancarella.

Cos’è il gioco simbolico?

La nostra pedagogista ci spiega che per gioco simbolico “si intende il gioco che i bambini fanno per imitazione“, giocando a “fare finta” di essere qualcuno o qualcosa. A ogni genitore sarà capitato di vedere i propri figli far finta di essere la mamma che cucina o il papà che torna dal lavoro; di farsi offrire una tazzina vuota di caffè o delle buonissime polpette fatte con la sabbia.

Jean Piaget è il noto pedagogista che ha teorizzato questa modalità di gioco. Nel delineare le tappe evolutive dello sviluppo del bambino, Piaget parla esplicitamente di “gioco simbolico”, che compare nello stadio dello sviluppo biologico chiamato pre-operatorio, quello che va dai 2 ai 7 anni.

Per l’esperta, non si può parlare in termini assoluti di un’età troppo precisa di inizio e fine di questa fase, che dipendono anche dal livello di sviluppo del singolo bambino. In generale, l’utilizzo di questo modo di giocare va dai 2 anni fino alla scolarizzazione, nei primissimi anni della scuola primaria.

Il gioco simbolico nei bambini da 1 a 3 anni

Nei neonati il gioco simbolico non è presente; secondo Piaget, infatti, i bambini così piccoli si trovano ancora nel primo stadio dello sviluppo cognitivo, detto “senso-motorio”. Il gioco simbolico, spiega la dottoressa Mancarella, inizia a manifestarsi intorno ai due anni di età:

Nel periodo che va dai 2 ai 3 anni, i bambini cercano di rendersi il più possibile indipendenti e autonomi.

Infatti, le relazioni che i bambini intrecciano e le esperienze che riescono a fare in questa fase sono varie e diversificate. C’è un primo periodo, a partire dai due anni, in cui all’asilo nido giocano per imitazione, guardando gli altri bambini o le maestre. La pedagogista chiarisce che si tratta ancora di giochi egocentrici (che non provocano una vera a propria socializzazione):

Il bambino è ancora nella fase egocentrica, ma questi primi giochi sono molto importanti perché costituiscono le basi per il gioco simbolico.

Successivamente, i bambini indirizzano l’attenzione del gioco sull’oggetto, che diventa funzione stessa del gioco. Si tratta della prima fase del gioco simbolico di cui parla Piaget:

Il gioco simbolico di cui parla Piaget inizia a circa 3 anni di età, per imitazione degli adulti. Per esempio, agli occhi del bambino una scopa diventa un cavallo. Poi, dai 4 anni, l’oggetto del gioco inizia a ricadere su loro stessi: il bambino simboleggia se stesso con vari personaggi, come un drago, un areo; le bambine di solito giocano a pettinare le bambole, oppure a fare la maestra.

Perché è così importante?

Il gioco simbolico è importante perché, pur rimanendo nella concretezza del giocare (quindi del fare), richiede un’attività astratta da parte del bambino. Cosa sta facendo in quel momento, infatti, se non immaginare qualcosa nella propria mente? Secondo la pedagogista, il bambino sta pensando a qualcosa che non sta facendo realmente, ma che immagina come fosse reale; e questo richiede uno sforzo cognitivo non indifferente. Dietro al gioco c’è un grande lavoro per il bambino:

Per i bambini il gioco è come un lavoro. Si tratta dell‘attività per loro più importante, quella principale. Alla luce di questo, il gioco simbolico è fondamentale per un sereno e corretto sviluppo del bambino.

Non bisogna dimenticare che la socializzazione del bambino avviene attraverso il contatto e la relazione coi genitori, in primis. I genitori non devono ritenere che il gioco sia un’attività esclusiva del bambino, da svolgere in solitudine né che la loro partecipazione sia superflua:

Gli adulti hanno il compito di dare la giusta importanza al gioco; devono quindi assecondare con entusiasmo e partecipare al gioco, se è richiesto dal bambino.

Approfondimento fuori intervista: gioco simbolico e autismo

I bambini con autismo mostrano una capacità limitata di utilizzare il gioco simbolico. Le tipiche difficoltà del “fare finta di”, che si osservano nell’incapacità di usare un giocattolo in modo simbolico, rappresentano anzi uno dei criteri per la diagnosi di autismo. Le azioni che possono ricondursi al gioco simbolico sono meno numerose, complesse, originali e spontanee nei bambini autistici rispetto a quelli con uno sviluppo “normale”.

Tuttavia, se fino a qualche decennio fa si pensava che il gioco simbolico fosse del tutto inaccessibile ai bambini affetti da autismo a causa dello sforzo cognitivo e di astrazione che esso richiede, le ultime ricerche vanno in un’altra direzione: anche i bambini autistici possono sperimentare il gioco simbolico. E poiché questo tipo di gioco è strettamente legato allo sviluppo del linguaggio, è fondamentale incoraggiarlo, guidando opportunamente il bambino.

L’uso della fantasia può essere stimolato con tecniche di drammatizzazione e musicoterapia, che utilizzano canali non verbali e quindi consentono al bambino di esprimere al meglio il suo potenziale creativo e la sua immaginazione.

Uno studio ha legato il gioco simbolico allo sviluppo sociale del bambino nei soggetti che hanno abilità cognitive di tipo non verbale alte, ma non in quelli con basse abilità cognitive di tipo non verbale. Altri studi, analizzando giochi che richiedono istruzioni, evidenziano che i bambini autistici hanno delle capacità per il gioco simbolico ben guidato, che spontaneamente non mostrano.

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  • Bambino (1-6 anni)