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Il ritardo del linguaggio può essere individuato precocemente attraverso determinati segnali fin dai primi mesi di vita del bambino. Ritardi e disturbi specifici del linguaggio sono condizioni cliniche molto diverse che richiedono interventi riabilitativi e di sostegno specifici. Vediamo quali.
Il ritardo del linguaggio rappresenta una delle preoccupazioni maggiori, per quanto comuni, dei genitori. Così, se le prime parole del bambino tardano ad arrivare, è facile farsi cogliere dall’ansia e temere che qualcosa non vada.
Dal momento che non è sempre facile capire se si è davanti ad un vero e proprio disturbo specifico, meglio chiedere consiglio al pediatra. Dopo un’attenta valutazione del quadro clinico e familiare, egli suggerirà una eventuale visita specialistica affidando il bambino a un logopedista o un neuropsichiatra infantile.
Prima di allarmarsi è bene ricordare che i tempi in cui si sviluppa la capacità di verbalizzazione sono estremamente variabili e non sempre un bambino che fatica a parlare è affetto da un ritardo del linguaggio specifico, potrebbero essere dovuti ad altri quadri, per esempio di natura cognitiva.
Nella maggior parte dei casi, infatti, tali difficoltà sono del tutto transitorie e possono essere superate con qualche semplice esercizio educativo e di stimolazione verbale. Analizziamo, quindi, le varie casistiche e cerchiamo di capire quando è opportuno allertarsi e cosa fare in caso di ritardo o disturbo del linguaggio specifico.
Sin dalla più tenera età, i bambini iniziano ad esercitare la capacità innata di attivare i circuiti del linguaggio per esprimere emozioni, bisogni e comunicare con l’ambiente che li circonda.
Tuttavia, le tempistiche con cui ogni bambino acquisisce una capacità di verbalizzazione apprezzabile possono variare anche in virtù di fattori ambientali, genetici e piccole alterazioni biologiche che però non rappresentano necessariamente il sintomo di un disturbo del linguaggio specifico.
In generale, intorno ai 24 mesi il bambino ha “costruito” un vocabolario di circa 100 parole ed è in grado di formulare le prime frasi combinando almeno due parole e gesti simbolici di supporto. A 30 mesi si verifica il cambiamento più significativo: il bambino comincia a produrre frasi più complesse e il suo vocabolario è ancora più ricco.
Vien da sé, quindi, che il compimento del 3° anno di vita rappresenta la cartina di tornasole di un eventuale ritardo del linguaggio. Ed è anche l’età in cui si può tracciare una distinzione netta tra “parlatori tardivi” e bambini affetti da un disturbo specifico del linguaggio.
Oltre ai fattori genetici e ambientali già menzionati, un eventuale ritardo comunicativo può dipendere da condizioni molto diverse. Ad esempio, è possibile che scaturisca da un deficit uditivo, cognitivo o da un disturbo della cosiddetta “intelligenza sociale“.
In alcuni casi, se la difficoltà di comunicare entro alcuni parametri ritenuti “accettabili” per l’età del bambino è associata a comportamenti e attività ripetitive, il ritardo del linguaggio è considerato uno dei principali indicatori clinici dello spettro autistico.
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Un eventuale disturbo del linguaggio può e deve essere intercettato tra il 2° e il 3° anno di vita del bambino, fase che abbiamo definito “cruciale” per la maturazione di una certa abilità comunicativa. L’intervento precoce, infatti, è di fondamentale importanza per ottimizzare i risultati di una terapia riabilitativa o di sostegno. In generale i “campanelli d’allarme” che si devono considerare sono:
Oltre ad un’accurata valutazione dell’ambiente familiare, il pediatra può utilizzare il Questionario sul Primo Vocabolario del Bambino (PVB) a partire da 2 anni di età, uno strumento che permette di individuare precocemente un possibile disturbo del linguaggio.
I disturbi specifici di linguaggio (DSL) sono ben distinti dai ritardi di una o più fasi evolutive. Questi ultimi, per convenzione, sono attribuiti a deficit sensoriali, motori, affettivi e carenze socio-ambientali.
Nei disturbi specifici di linguaggio i bambini possono presentare difficoltà di varia entità e grado. L’incapacità può manifestarsi relativamente alla comprensione, alla produzione o all’uso del linguaggio, oppure a tutte e tre le componenti. Le tipologie di DSL sono essenzialmente due:
Se è vero che la gravità del disturbo è rivelata quasi sempre dalla sua evoluzione nel corso del tempo – più precisamente in concomitanza con l’ingresso nella scuola materna – è anche vero che a partire dai 2 anni alcuni segnali possono predire un disturbo “specifico”.
A seconda dell’entità e della natura del ritardo, il pediatra e lo specialista suggeriranno precise strategie riabilitative. La riabilitazione deve sempre essere anticipata da un’ accurata valutazione neuropsicologica del bambino e da un’attenta disamina dell’ambiente in cui vive.
Il trattamento riabilitativo di riferimento è quello offerto dalla logopedia, sia individuale che di gruppo. Molto spesso, la terapia logopedica è abbinata ad altri esercizi di stimolazione diretta, come il “Parent Training” che prevede il coinvolgimento attivo dei genitori attraverso metodiche psico-educative particolari.
Queste terapie possono essere applicate con successo già prima dei 36 mesi di vita del bambino e rappresentano l’approccio più appropriato per affrontare tempestivamente i disturbi del linguaggio infantili.
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