Scatto d’ira o un modo per esprimere le emozioni? Comportamento sbagliato o un’attività ludica e inconsapevole? Cosa fare quando un bambino lancia gli oggetti? Un fenomeno comune nei bambini che, a seconda dell’età, può avere motivazioni opposte.

La soluzione al problema difficilmente è la repressione della causa e sicuramente non lo è mai la punizione corporale (che diventa una forma di maltrattamento).

Cerchiamo quindi, nella prospettiva di aiutare sia i bambini che i loro genitori, di capire quali possono essere i motivi per cui un bambini lancia gli oggetti e quali sono delle strategie efficaci per insegnargli a non farlo.

Perché il bambino lancia oggetti?

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Fonte: iStock

Possono esserci sostanzialmente due macrocategorie di cause alla base del lancio degli oggetti da parte dei bambini. La prima, che potremmo definire fisiologica, è legata alla crescita del bambino e alla sua volontà di esplorare il mondo circostante e le interazioni con gli oggetti e tra gli oggetti. La seconda, invece, rappresenta un’espressione di uno accesso d’ira che, per quanto il nome susciti sensazioni critiche, può risultare meno grave di quanto si pensi.

Vi è, soprattutto nei primi mesi e anni di vita, lo sviluppo delle abilità motorie e in modo particolare della coordinazione oculo-manuale (che dura indicativamente fino ai 7 anni). Il bambino sin dai primi mesi di vita e poi in maniera crescente e migliore, impara a conoscere il proprio corpo, le abilità fisiche (muovere gli arti, afferrare oggetti, eccetera) e ad applicarle al mondo circostante. Ecco quindi che prova, anche, a lanciare gli oggetti.

Per il bambino è divertente farlo, così come è divertente costruire una torre di costruzioni e giocattoli e farla ripetutamente cadere. È per lui una novità, è un gioco e come tale un misto di divertimento e apprendimento di ciò che accade intorno a lui e, anche, ciò che egli è in grado di provocare.

Anche per questo a volte il bambino lancia gli oggetti per richiamare l’attenzione, specialmente se questo comportamento suscita una reazione da parte dei genitori. C’è da dire anche che, specie quando il bambino è piccolo, non capisce (comprensibilmente) perché una palla possa essere lanciata e un altro gioco o oggetto no. Tutto quello che gli adulti danno per acquisito, scontato e ovvio per il bambino non lo è. E non è sufficiente spiegarglielo una volta sola.

C’è poi tutto il complesso discorso della gestione delle emozioni e dei cosiddetti accessi d’ira. Il Manuale MSD spiega che si tratta di reazioni emotive violente comuni tra i 2 e i 4 anni e che raramente si manifestano dopo i 5 anni. Si tratta quindi di reazioni (risposta a un’azione o situazione) che il bambino mette in atto per stanchezza, frustrazione o fame. Inoltre il bambino può avere un accesso d’ira, che si manifesta lanciando oggetti ma anche battendo i piedi e rotolandosi sul pavimento, anche perché non vogliono fare qualcosa richiestogli dai loro genitori o per attirare la loro attenzione e il loro consenso.

La causa degli accessi d’ira non è un’inadeguatezza dei genitori né una colpa dei bambini (che non sono cattivi e non fanno i capricci) ma una condizione che lega la personalità del bambino, il suo normale sviluppo comportamentale e le circostanze che si trova a vivere.

La rabbia, spiega questo studio, è (insieme alla gioia e alla paura) una delle emozioni presenti fin dalla nascita. Reprimere le emozioni, oltre che inutile si rivela controproducente.

Cosa fare se il bambino lancia oggetti

Il comportamento da adottare quando il bambino lancia gli oggetti, quindi, varia a seconda del contesto. Nel caso di lancio di oggetti per gioco è importante evitare che il bambino abbia a disposizione oggetti che possano essere pericolosi per lui e per chi gli sta intorno.

Nel caso in cui lanciasse un oggetto pericoloso e che si può rompere (come un telecomando, il telefono, le chiavi, eccetera) questi vanno tolti spiegando al bambino il problema e invitandolo, coinvolgendolo, a fare un’attività meno pericolosa (disegnare, fare le costruzioni, fare un gioco che gli piace, eccetera) e magari dando loro oggetti che possono lanciare (palle, giochi di stoffa, eccetera).

Un aspetto da non sottovalutare è poi quello legato all’imitazione. Se il bambino vede un genitore o un caregiver che lancia un oggetto, per rabbia, istinto o per abitudine è più facile che ne emuli il comportamento. Anche se non ne comprende il significato può adottare il medesimo comportamento perché l’ha visto fare da chi si occupa di lui.

Nel contesto degli accessi d’ira e più in generale nella gestione delle emozioni è doveroso uno sforzo da parte dei genitori. Innanzitutto di accettare che la crescita di un essere umano passi anche da qui adottando comportamenti che spesso non sono quelli nei quali è stato abituato a ritrovarsi.

Senza giudizi o sentenze di alcun tipo, la consapevolezza nell’imparare a esprimere e gestire le emozioni dei bambini (ma anche degli adulti) è qualcosa che ancora a fatica sta entrando nella mentalità comune. Per molto tempo si è pensato (e ancora si pensa) che un bambino che piange fa i capricci, è cattivo, è viziato e ha reazioni esagerate che devono essere rimproverate, represse e colpevolizzate.

Le ricerche più recenti sull’argomento mostrano invece che la repressione, il rimprovero fine a sé stesso e la colpevolizzazione non aiutano il bambino e che le emozioni sono parte integrante della personalità di un essere umano. Come ci si preoccupa che il bambino impari a camminare da solo, mangi regolarmente e impari a parlare così ci si dovrebbe occupare di insegnargli a vivere e gestire quel mix esplosivo (ma anche meraviglioso) che sono le emozioni.

Spesso è difficile farlo perché i genitori, da figli, non sono stati educati a farlo e più che innestare un circolo vizioso di colpe e rimproveri è opportuno prendere consapevolezza e aiutare i propri figli a crescere in un contesto più accogliente. Un contesto nel quale non ci si vergogni di parlare di emozioni, nel quale più che un rimprovero o una punizione può rivelarsi utile il confronto e un abbraccio e nel quale mettere in atto strategie (come la distrazione e la rimozione della situazione responsabile della reazione del bambino) utile a calmarsi e a imparare a gestire le emozioni.

Quando è necessario consultare uno specialista

Nel caso in cui la situazione non fosse sotto controllo, perché il bambino ha comportamenti violenti (anche nei confronti di eventuali fratelli o sorelle o compagni di scuola) o perché i genitori (non per colpa) non riescano a farlo, è utile il ricorso a uno specialista.

Crescere un figlio non è un’abilità innata né automatica che è condizionata da fattori personali (sia del genitore che del bambino) che sociali e ambientali. Riconoscere e accettare di non riuscire in quella specifica situazione non è una sentenza di incapacità genitoriale ma di volontà di aiutare il bambino e sé stessi a trovare la soluzione a un problema altrimenti irrisolvibile.

Episodi ricorrenti, situazioni nelle quali il bambino è costantemente agitato, irritato e stressato o comportamenti che possano fare del male richiedono il supporto di un professionista per analizzare le cause e individuare le strategie migliori da adottare.

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  • Bambino (1-6 anni)