L’emergenza Covid che da più di un anno sta condizionando le vite di tutti, è un problema indubbiamente sanitario (contagi, ricoveri, terapie intensive, eccetera), ma anche sociale. È un problema non solo del presente, ma anche del futuro.

Un problema al quale dal punto di vista medico si sta provando a porre rimedio con il vaccino e il miglioramento di cure e trattamenti, ma del quale dal punto di vista sociale ed educativo ci sono più incognite che certezze. Il fenomeno dei cosiddetti Coronababies è uno dei più urgenti da affrontare.

Chi sono i “Coronababies”?

Con il termine Coronababies, coniato nei mesi di inizio pandemia da Covid-19, si intendono i bambini concepiti in questo periodo di emergenza e che, secondo alcuni, non sarebbero nati senza le misure di restringimento del lockdown.

Un fenomeno d’interesse non solo demografico, ma anche psicologico e sociale se ci si interroga sulle conseguenze che lo stress e l’ansia vissuta in gravidanza nelle prime settimane di lockdown (ma anche quelle successive di questa “nuova normalità”) possano aver provocato nei feti.

I precedenti storici

Si parla di Coronababies perché in passato, a fronte di altre enormi emergenze, si è notato come tali criticità abbiano inciso sui feti, creando loro delle conseguenze (fisiche e psicologiche) che si sono rese evidenti dopo la nascita o anche a distanza di anni.

Sul finire degli anni Novanta (1998), per esempio, in Ontario e Quebec vi è stato un blackout che è durato più di sei settimane, costringendo le donne incinte a dover convivere in casa con temperature glaciali. Le conseguenze? Gli studi condotti hanno verificato come i feti vissuti in quel periodo siano cresciuti con un’amigdala più grande, portando allo sviluppo di comportamenti aggressivi.

Ci saranno più Coronababies? Il “boom” delle nascite

Da più parti nel corso dei mesi di pandemia si è parlato di aumento delle nascite, quasi come un’ovvia conseguenza dell’obbligo di rimanere in casa. Riducendo il sesso a un mero svago contro la noia, più di qualcuno ha ipotizzato che nei mesi successivi al lockdown ci sarebbe stato un boom delle nascite.

Anche se non ci sono ancora dati precisi è possibile affidarsi alle rilevazioni dell’Istat che, almeno per l’Italia, smentisce questa previsione.

La denatalità prosegue nel 2020; secondo i dati provvisori riferiti al periodo gennaio-agosto 2020, le nascite sono già oltre 6.400 in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Anche senza tener conto degli effetti della pandemia di Covid-19, che si potranno osservare a partire dal mese di dicembre 2020, ci si può attendere una riduzione ulteriore delle nascite almeno di 10 mila unità.

Com’è possibile? Perché il sesso, inteso come mera attività meccanica antistress, non è stata la risposta alla reclusione forzata in casa dei primi mesi di pandemia da Covid-19. Anzi, a partire da quel periodo si è assistito a un aumento delle richieste di separazione e divorzio, a dimostrazione di come le coppie hanno reagito al dover trascorrere insieme molto più tempo di quello che erano abituati a fare.

La pandemia non ha unito, ma ha diviso ancora di più, anche e soprattutto all’interno dei nuclei familiari. L’istinto sessuale non è certo sparito, ma è stato vissuto diversamente, tanto che c’è stato un aumento delle vendite di preservativi e sex toys.

Coronababies: le possibili conseguenze a lungo termine della pandemia

Quando si parla di gravidanza si dà sempre l’indicazione alle donne di vivere questo periodo con serenità e tranquillità, in quanto lo stress non fa certo bene allo sviluppo del bambino. Cosa accadrà ai bambini concepiti durante il lockdown o di quelli nati nei mesi successivi? La domanda è drammaticamente seria, soprattutto se potesse aiutare a trovare risposte tali da prevenire che i bambini, gli adulti di domani, possano soffrire di problemi che possano condizionare la loro esistenza.

Il problema, per il momento, è quello dell’assenza di dati certi e tali da poter trovare una risposta univoca alla domanda sulle possibili conseguenze sui Coronababies. I primi studi e ricerche sono ancora in corso e si può solo iniziare a intuire a cosa i Coronababies potrebbero andare incontro. Di certo c’è un aumento di fenomeni di ansia e depressione nelle madri che potrebbe creare i presupposti per i disturbi emotivi e cognitivi, ma anche fisici nei loro bambini.

Ma è ancora obbligatorio utilizzare il condizionale, perché risposte certe non ce ne sono ancora e anche i risultati di studi localizzati in alcune zone non devono essere assolutizzati. Questo perché bisogna distinguere tra correlazione e relazione di causa-effetto. La questione degli effetti negativi sui Coronababies rientra nelle correlazioni, non è una causa certa di criticità. Bisogna considerare sempre la situazione preesistente sulla quale la pandemia si è innestata che in alcuni casi può aver esasperato una condizione pregressa, in altri creato problemi nuovi, ma in altri casi ancora può non aver danneggiato lo sviluppo del bambino.

Come possiamo aiutare i Coronababies a crescere in modo sano?

L’aiuto che i genitori e l’ambiente familiare in genere possono dare è quello di mantenere il più possibile la calma. L’incertezza regna sovrana e l’instabilità del periodo non aiuta certo in questa direzione, ma è altrettanto vero che lo shock dei primi mesi è passato e stiamo tornando a costruire una quotidianità. Certo non la medesima di prima, ma una nuova fatta di distanziamento sociale, incontri ridotti e molta virtualità.

Il ruolo della rete si è reso decisivo in questi mesi e lo sarà sempre di più. Per molte dinamiche (come quelle educative e sociali) non può (e non deve) sostituire lo svolgimento in presenza, ma può essere un’alternativa valida da considerare positivamente fino a quando non è possibile percorrere soluzioni alternative.

Anche se in forma ridotta o digitale è importante che le future mamme, ma anche i rispettivi partner, affrontino questo periodo di emergenza con serenità e fiducia, che sono gli elementi imprescindibili per aiutare i Coronababies a crescere in maniera sana.

È fondamentale, qualora se ne sentisse il bisogno, orientarsi e richiedere i servizi di assistenza psicologica che possono supportare le difficoltà di questo periodo. Parallelamente è decisivo continuare a investire nelle relazioni sociali e dedicarsi a delle attività di svago.

L’importante, infatti, non è (solo) la salute medica, perché le persone sono fatte anche di relazioni, storie, amicizie e affetti che non possono essere sacrificati sul banco di una cartella clinica immacolata. Non che bisogna esporsi al rischio, specie quando si ha un bambino da far nascere e crescere, ma che nemmeno si debba rinunciare a vivere per paura di ammalarsi.

Non è certo facile, ma è possibile e ogni genitore ha il dovere verso i propri figli di affrontare le difficoltà per consegnargli un ambiente familiare migliore. Che è la condizione essenziale per crescere in maniera sana.

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  • Bambino (1-6 anni)