Le patologie tiroidee rappresentano un problema frequente tra le donne durante la gestazione. Il caso specifico dell’ipertiroidismo in gravidanza riguarda lo 0,2% delle gestanti, dunque 2 gravidanze su 1000 secondo l’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali, che ha redatto un documento che analizza questa e tutte le patologie che coinvolgono tiroide e gravidanza, con linee guida nazionali di riferimento.

Di solito il disturbo compare (o si aggrava, se preesistente) nei primi tre mesi di gravidanza. In quelli successivi fa seguito un miglioramento o addirittura una completa remissione dei sintomi, con valori nella norma. Porta a una significativa accelerazione del metabolismo, con conseguenti perdita di peso, tachicardie, aritmie, irritabilità, eccessiva sudorazione, nervosismo. Purtroppo, gli effetti negativi possono riversarsi anche sul feto.

Cos’è l’ipertiroidismo?

L’ipertiroidismo è una condizione caratterizzata da una produzione eccessiva di ormoni tiroidei, il cui equilibrio è importantissimo durante la gestazione affinché lo sviluppo del feto sia senza complicazioni. Quando i livelli di ormoni tiroidei nel sangue raggiungono livelli particolarmente elevati, tali da causare sintomi gravi, si parla di tireotossicosi.

Quando la tiroide “funziona troppo” può dare luogo a due diverse forme di ipertiroidismo:

  • quello primitivo dipende da alterazioni a carico della stessa tiroide;
  • quello secondario, invece, molto meno diffuso, è conseguenza di un’eccessiva stimolazione della tiroide a opera di ormoni prodotti da altre ghiandole.

Ipertiroidismo in gravidanza: cause

L’ipertiroidismo secondario si verifica quando la produzione di ormoni tiroidei aumenta perché la tiroide viene stimolata in maniera eccessiva dal TSH  prodotto dall’adenoipofisi: ciò può dipendere da alterazioni della stessa adenoipofisi o da una produzione aumentata di TRH da parte dell’ipotalamo.

Invece, alla base dell’ipertiroidismo di tipo primitivo, di solito c’è il morbo di Basedow-Graves, che prende il nome dal medico irlandese Robert Graves che per primo lo scoprì e lo descrisse nel 1800. Si tratta di una malattia autoimmune e, come tale, il sistema immunitario attacca le cellule dei propri organi, perché non riconosce (come farebbe di norma) le sostanze estranee e pericolose, come batteri e virus.

Nello specifico del morbo di Basedow-Graves, il sistema immunitario produce un anticorpo chiamato immunoglobulina tireostimolante (TSI) o anticorpo antirecettori TSH. Si tratta di un finto TSH che porta a un’eccessiva produzione di ormoni tiroidei. I casi di Basedow-Graves necessitano controlli mensili accurati durante la gravidanza e costante monitoraggio dei valori.

Tra le altre cause più diffuse:

  • gozzo multinodulare tossico;
  • carcinoma della tiroide;
  • adenoma tossico;
  • disfunzioni tiroidee.

Ipertiroidismo in gravidanza: sintomi

I primi sintomi che possono indurre il medico a sospettare un ipertiroidismo in gravidanza sono:

  • perdita di peso;
  • gozzo;
  • eccessiva sudorazione;
  • intolleranza al caldo;
  • sensazione perenne di stanchezza muscolare;
  • affaticabilità.

Ipertiroidismo in gravidanza: rischi

ipertiroidismo in gravidanza

L’ipertiroidismo purtroppo può avere conseguenze anche gravi sul neonato: tra l’8% e il 25% dei casi, le complicazioni sfociano in un aborto. Oppure il neonato può nascere sottopeso, andare incontro a insufficienza cardiaca, difficoltà respiratorie, chiusura precoce delle fontanelle craniche.

Sulla madre, invece, l’ipertiroidismo può essere causa di preeclampsia.

Ipertiroidismo in gravidanza: cure e trattamenti

L’ipertiroidismo lieve non richiede trattamento, mentre quello grave va tenuto sotto controllo e curato con specifici farmaci antitiroidei per interferire con la produzione dell’ormone.

In gravidanza non si procede col trattamento con iodio radioattivo, capace di distruggere solo le cellule tiroidee anomale, perché potrebbe arrecare danni al feto. Quindi, qualora la donna presentasse un’intolleranza verso i farmaci antitiroidei, l’unica strada possibile sarebbe quella chirurgica, con rimozione totale o parziale della ghiandola.

I farmaci antitiroidei (metimazolo o propiltiouracile) sono capaci di attraversare la placenta, dunque vanno somministrati in quantità basse: un dosaggio minimo eviterà la comparsa di ipotiroidismo nel neonato. Ma hanno anche effetti collaterali, come:

  • reazioni allergiche;
  • eruzioni cutanee e prurito;
  • insufficienza ematica;
  • resistenza alle infezioni;
  • febbre;
  • perdita di appetito;
  • facilità ai lividi.

E l’allattamento? I farmaci antitiroidei sono compatibili con l’allattamento al seno, ma solo se le dosi dei farmaci sono limitate, frazionate e assunte dopo le poppate. Qualora si rendesse necessario un trattamento più forte, in questo caso occorrerà evitare l’allattamento al seno.

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