Jordan Cheyenne e quel pianto "imposto" al figlio per qualche like in più

Il video dell'influencer Jordan Cheyenne in cui chiede al figlio di "piangere più forte" a favore di camera per impostare una migliore anteprima di un video di Youtube è diventato - suo malgrado - viralissimo. E ha aperto nuovi scenari sulla sovraesposizione social dei più piccoli.

Sta facendo discutere il caso della youtuber americana Jordan Cheyenne, seguita (prima dei fatti recenti) da più di 500 mila iscritti al suo celebre canale. Amatissima mum-blogger anche su Instagram, Jordan nei giorni scorsi ha pubblicato accidentalmente un video in cui raccontava la malattia del cane di famiglia in cui – nei momenti finali – invitava il figlio Christian, 8 anni, a “piangere più forte“, così da creare una migliore e più emozionale anteprima per il video di Youtube.

La versione che doveva andare online ovviamente non contemplava la pubblicazione di questi minuti aggiuntivi in cui l’influencer invita il bambino a piangere in modo più teatrale per il loro cane: ma questa svista le è costata la cancellazione da tutti i canali su cui lavorava, la pubblica gogna, la viralizzazione (al contrario) dei suoi contenuti ora presi di mira.

Il video è stato cancellato dall’interessata, ma quei famosi frame circolano ancora in rete. Ve li mostriamo giusto per capire meglio di cosa stiamo parlando, ma anticipiamo anche che la visione può essere molto disturbante.

Nel video si vede Jordan che invita il figlio a piangere in un certo modo, con il piccolo Christian che le risponde che “sta già piangendo” per il cane malato. A quel punto la madre lo invita a tenersi il volto tra le mani e a “fingere di piangere” ancora più forte.

Dopo la cancellazione del video, Jordan Cheyenne ne ha pubblicato un secondo pieno di scuse in cui si dice “disgustata da se stessa” e che si sarebbe allontanata dai social per un po’. Una scelta di comodo ma anche obbligata, visto che Instagram ha oscurato il suo profilo e la pagina delle foto correlate all’hashtag #JordanCheyenne. La Cheyenne ha anche aggiunto che il figlio Christian non comparirà più sui suoi canali e che ha a cuore il suo benessere mentale. Intanto però su Twitter e su Instagram si è scatenato un acceso dibattito su quanto i bambini dovrebbero essere esposti su profili che parlano solo indirettamente di loro. Molte influencer nostrane e internazionali coinvolgono i loro figli in advertising e pubblicità sui social per questioni di marketing e non solo durante momenti privati. Senza considerare la loro privacy e, ovviamente, l’eventuale consenso. Rimane centrale infatti il concetto che i bimbi non possano effettivamente acconsentire con consapevolezza, considerato che sono molto piccoli e non comprendono il riverbero delle loro apparizioni social su canali molto popolati (anche a lungo termine).

Al momento Jordan Cheyenne è quindi in una sorta di ban autoimposto, con i contratti delle aziende già attivi stracciati e una popolarità social ai livelli minimi. Anche se si è scusata, le conseguenze di quel video rimarranno e faranno scuola proprio perché amplificano una questione di cui è molto difficile centrare il punto, visto che non esiste una regolamentazione a riguardo.

Rimane aperto il dibattito: è giusto sovraesporre i figli – non soltanto per questioni legate alla pedopornografia in rete, altrettanto pressante – e avallare lo “sharenting” oppure è necessario battersi per tutelarli, non solo individualmente o come nucleo familiare ma anche a livello pubblico e istituzionale? Pubblicare video mentre si ride dei propri figli sui social è educativo? Senza arrivare al caso limite di Jordan Cheyenne, basta guardare uno dei trend virali di TikTok in cui dei genitori usano un filtro che trasforma il loro volto in quello di un cavallo (trasformazione che genera pianti inconsulti e terrorizzati dei loro bambini spesso neonati che guardano in camera insieme alla mamma o al papà) per rendersi conto che forse i confini sono stati già abbondantemente oltrepassati.

E per chiedersi se davvero il benessere dei piccoli vale più dei like e dell’apprezzamento di sconosciuti.

 

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  • Bambino (1-6 anni)