
Le 5 infezioni pericolose per la gravidanza
Contrarre alcune infezioni durante la gravidanza può essere pericoloso: il medico ginecologo spiega quali sono le più comuni e come prevenirle.
La sifilide è una grave malattia sessualmente trasmissibile: quali sono i sintomi, come avviene il contagio e le conseguenze per una gravidanza.
La sifilide (o lue) è una malattia trasmissibile sessualmente dovuta al contagio con il batterio Treponema pallidum, particolarmente aggressivo.
Era una delle malattie veneree più diffuse in passato, ma è stata efficacemente contrastata a partire dalla seconda metà del Novecento. Oggi, tuttavia, si registra un aumento dei casi di contagio: sono 12 milioni i nuovi contagi da sifilide nel mondo ogni anno, ed è, dopo l’Aids, l’infezione sessuale con la più alta mortalità.
La sifilide si trasmette in due modi: attraverso rapporti a rischio oppure dalla madre al feto, durante la gravidanza.
La sifilide è un’infezione alle vie genitali, che provoca lesioni e aumenta il rischio di contagio con il virus dell’Hiv. Il decorso dell’infezione attraversa diversi stadi, con sintomi specifici.
Se non viene riconosciuta e trattata per tempo la sifilide può alterare il sistema nervoso e, nei casi più gravi, portare alla morte: è fondamentale avviare tempestivamente una terapia antibiotica non appena viene diagnosticata.
La sifilide si trasmette per via sessuale, attraverso abrasioni delle mucose o della pelle. La sifilide si può curare con la penicillina, ma i suoi sintomi sono di difficile individuazione, soprattutto nella sua fase iniziale.
Durante la gravidanza l’infezione materna può passare al feto attraverso la placenta, oppure può essere trasmessa durante il passaggio attraverso il canale del parto, o, ancora, con lesioni al capezzolo durante l’allattamento.
Contrarre alcune infezioni durante la gravidanza può essere pericoloso: il medico ginecologo spiega quali sono le più comuni e come prevenirle.
La sifilide viene divisa in quattro diverse tipologie, o stadi: sifilide primaria, secondaria, avanzata o terziaria e congenita (che riguarda solo le donne in gravidanza). Vediamo quali sono le differenze e come riconoscerne i sintomi.
Il primo stadio della sifilide, o sifilide primaria, si caratterizza per la comparsa di una ferita o da pustole. Dal momento del contagio alla comparsa dei sintomi può trascorrere un periodo di tempo che va da 10 a 90 giorni. Come spiega l’Istituto superiore di sanità
Normalmente la ferita è consistente, tonda, piccola e indolore e compare nel punto in cui avviene l’infezione batterica. Questa ferita dura 3-6 settimane e guarisce da sola. Se l’infezione non è trattata in questa fase, evolve verso lo stadio secondario.
Il secondo stadio della sifilide, o sifilide secondaria, si presenta con diverse eruzioni cutanee non pruriginose. Continua l’Iss:
L’eruzione è solitamente rossastra o bruna, con macchie sui palmi delle mani e dei piedi o in altre parti del corpo. A volte le macchie sono diverse e ricordano eruzioni tipiche di altre malattie. Anche senza alcun trattamento, l’eruzione sparisce da sola. Sono inoltre tipici di questo stadio febbre, ingrossamento dei linfonodi, mal di gola, alopecia a chiazze, cefalea, calo ponderale, mialgie, stanchezza.
Ecco perché è importante controllare la comparsa di eventuali ferite anomale e ulcere nella zona dei genitali: superate le prime fasi, infatti, il sintomo evidente scompare e l’infezione si “concentra” sugli organi interni, provocando, se non trattata, danni anche molto gravi.
Viene definito anche stato latente, o sifilide terziaria: si caratterizza per la scomparsa dei sintomi cutanei, ma iniziano a danneggiarsi gli organi interni, pur senza sintomi apparenti. Spiega ancora l’Istituto superiore di Sanità:
I danni neurologici possono essere presenti già nel secondo stadio (sifilide neurale). Una volta che la sifilide entra nel terzo stadio, l’individuo perde la capacità di controllare i movimenti muscolari, può avere delle paralisi, confusione mentale, cecità graduale e sviluppo di demenza. Il danno può essere tanto serio da portare alla morte.
Se l’infezione è trasmessa al feto dalla madre nel 40% dei casi provoca morte in utero, oppure può diventare congenita, nel 70% dei casi. Il rischio di contagio è elevato se la donna ha avuto un contagio nei 4 anni precedenti la gravidanza.
I sintomi della sifilide congenita possono comparire anche diverso tempo dopo la nascita del bambino, e se non vengono riconosciuti in tempo provocare gravi complicazioni per il suo sviluppo.
Come anticipato, se la donna incinta ha il batterio che provoca la sifilide può trasmettere l’infezione al feto attraverso la placenta.
La trasmissione materno-fetale può avere serie conseguenze sullo sviluppo del feto e può portare a morte uterina.
Dal momento che la trasmissione avviene principalmente attraverso rapporti sessuali non protetti l’arma più forte contro la trasmissione della sifilide è l’uso del preservativo.
Va ricordato però che il batterio può essere trasmesso anche attraverso il contatto con le ferite o le mucose infette, quindi anche attraverso rapporti orali, per questo è sempre opportuno controllare la presenza di ferite o eruzioni anomale, e in quel caso rivolgersi ad un medico.
Se i sintomi scompaiono non significa che l’infezione è guarita: in caso si sospetti il contagio bisogna rivolgersi subito ad un medico, perché la sifilide continua ad agire, anche se non è evidente.
Per diagnosticare l’infezione si effettuano esami di laboratorio, prelevando dei campioni direttamente dalla ferita del paziente e osservandoli al microscopio, oppure attraverso test su campioni di sangue alla ricerca di anticorpi che indicano l’avvenuto contagio e relativa risposta immunitaria dell’organismo.
Tali esami sono il VDRL e il TPHA, rispettivamente Venereal Disease Research Laboratory e Treponema Pallidum Hemagglutination Test, che vengono effettuati di routine nelle prime settimane di gravidanza e verso la fine della gestazione.
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Una volta avuta la sifilide, anche se curata, si rimane “positivi” ai test per identificarla: alcuni esami sono però più precisi, come l’FTA-ABS (Fluorescent-Treponemal-Antibody Absorption test).
La penicillina è efficace nel trattamento della sifilide, ed è la terapia proposta anche durante la gravidanza con buone percentuali di successo anche nell’evitare la trasmissione verticale. Nelle fasi finali della gestazione la terapia potrebbe aumentare il rischio di parto prematuro e di altre complicanze a carico del feto, ma la cura è sempre da preferirsi.
È necessario che anche il partner si sottoponga al trattamento, e bisogna astenersi dai rapporti sessuali fino alla completa guarigione. Una volta contratto il batterio, infine, non si è immuni da un nuovo contagio: la prevenzione rimane fondamentale.
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