Tra le infezioni a trasmissione sessuale la sifilide è una delle tre più diffuse (dopo la clamidia e la gonorrea) e tra le più pericolose, anche perché, se contratta in gravidanza, può essere trasmessa al feto per via transplacentare. Un’infezione che può essere diagnosticata già dalla seconda alla quarta settimana dopo il contagio (in base al tipo di anticorpi sviluppati) e sospettata tramite due test di screening: il TPHA e il VDRL. Parliamo di esami diversi (anche come risultati) che spesso vengono eseguiti congiuntamente e per i quali, a seguito di risposta positiva, viene richiesto un ulteriore esame per confermare la diagnosi.

L’attenzione sui test di screening per la sifilide come sono il TPHA e il VDRL è tale soprattutto per la capacità di trasmissione dell’infezione (attraverso qualsiasi tipo di rapporto sessuale e tramite il contatto con il sangue) e per la gravità che è maggiore quanto più l’infezione viene contratta precocemente. Anche per questo motivo in Italia lo screening sierologico per la sifilide è raccomandato, sia alle donne che ai rispettivi partner, all’inizio e alla fine della gravidanza.

VDRL e TPHA: cosa sono?

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Fonte: iStock

Il VDRL (Veneral Disease Research Laboratory) e il TPHA (Treponema Pallidum Haemoagglutination Assay) sono due test microbiologici eseguiti su un campione di sangue testi a individuare il batterio responsabile della sifilide, ovvero il Treponema pallidum. La principale differenza tra il VDRL e il TPHA sta nel tipo di anticorpi che sono in grado di ricercare.

Il TPHA è propriamente un test treponemico, ovvero volto alla ricerca degli anticorpi diretti contro gli antigeni specifici del Treponema pallidum. Il VDRL, invece, si basa sulla ricerca degli anticorpi prodotti contro le sostanze rilasciate dai tessuti per azione del batterio e per questo sono utili per valutare l’evoluzione dell’infezione e la relativa risposta alla terapia.

Il VDRL è un esame molto sensibile ma meno specifico rispetto al TPHA in quanto sono possibili molti falsi positivi e perché gli anticorpi prodotti dall’azione del batterio della sifilide sono gli stessi che si sviluppano anche in presenza di altre patologie. Questa è la ragione per cui il VDRL e il TPHA vengono eseguiti contestualmente, offrendo un quadro clinico più completo e dettagliato.

Un’altra importante differenza tra i test riguarda la loro precocità di utilizzo. Il VDRL è utile perché rileva la positività già nello stadio iniziale dell’infezione (tra l’ottavo e il quindicesimo giorno), mentre il TPHA solo dopo la decima settimana. Per questo motivo il TPHA non è utile per individuare precocemente l’infezione così come per valutare il decorso della malattia, rimanendo positivo anche dopo la terapia.

I test VDRL e TPHA possono essere prescritti sia in presenza che in assenza di sintomi. In alcuni casi vengono raccomandati anche a fronte di un’altra infezione a trasmissione sessuale, quando si è positivi all’HIV o a seguito di un rapporto sessuale non protetto e rischioso.

Il VDRL è un esame che può essere svolto anche su un campione di liquido spinale, oltre che nel sangue, qualora vi sia il sospetto che l’infezione abbia coinvolto anche il sistema nervoso centrale.

Sifilide in gravidanza: i rischi

Come anticipato la sifilide è una malattia che si sviluppa in diversi stadi (primario, secondario, latente, tardivo e congenito). Nel primo stadio possono trascorrere dai 10 ai 90 giorni tra il contagio e la comparsa dei primi sintomi (ulcere sui genitali, sull’ano, nella bocca o in gola). In questa fase i sintomi si risolvono spontaneamente entro 3-6 settimane, ma questo non coincide con la scomparsa della malattia.

Lo stadio secondario inizia tra le 2 e le 8 settimane successive ed è caratterizzato dalla comparsa di macchie rosate sulla pelle (roseola sifilitica) localizzate nella zona del tronco e degli arti. In alcuni casi si associano anche febbre, dolori ossei, disturbi gastrointestinali e mal di gola. Anche in questo caso i sintomi tendono a scomparire anche senza trattamento, ma l’assenza della terapia determina il peggioramento dell’infezione che progredirà verso lo stadio latente.

In questa fase (che può durare anche due anni) non ci sono sintomi ed è possibile ancora guarire dalla sifilide. A distanza di molto tempo (anche decenni) una sifilide non trattata giunge allo stadio tardivo quelle per cui i sintomi sono gravi complicazioni che possono colpire qualsiasi organo, tanto che nelle forme può gravi l’esito può essere letale. La sifilide congenita è invece quella che riguarda il neonato e può manifestarsi precocemente (entro i primi due anni) o tardivamente (dopo il secondo anno).

In gravidanza il rischio di sifilide interessa, quindi, sia la donna che il bambino in quanto la trasmissione può avvenire sia per via transplacentare che alla nascita durante il passaggio nel canale del parto. Il rischio di trasmissione è più basso nel primo trimestre per poi aumentare con il passare delle settimane di gestazione.

Oltre al rischio di causare il contagio del bambino (sifilide congenita) l’infezione da Treponema pallidum può, se non adeguatamente trattata, essere associata a complicanze quali idrope fetale, ritardo nella crescita e parto pretermine, ma anche aborto tardivo e morte in utero.

Per questo motivo è fondamentale diagnosticare precocemente la sifilide in gravidanza tramite i test di screening TPHA e VDRL, in modo da iniziare il trattamento adeguato atto a salvaguardare la salute e la sopravvivenza della donna e del feto.

VDRL e TPHA: i valori dell’esame in gravidanza

Oltre a essere raccomandati all’inizio e alla fine della gravidanza, gli esami di screening per la sifilide possono essere ripetuti intorno alla ventottesima settimana di gravidanza (nel secondo trimestre) nel caso in cui vi siano dei fattori di rischio per la sifilide o vi è la necessità di monitorare l’evoluzione dell’infezione.

Il VDRL restituisce un risultato che può essere negativo o positivo. Il risultato è dato da diversi gradi di reattività in base alla presenza (o meno) degli aggregati presenti nei cerchi di reazione. Il risultato positivo può essere reattivo, debolmente reattivo, minimamente reattivo o non reattivo.

Il TPHA, invece, dà un risultato di positivo o negativo. In entrambi i casi va precisato come il risultato negativo indica che in quel preciso momento in cui è stato svolto l’esame non vi sono evidenze per la malattia. Nel caso di dubbi o scrupoli è doveroso ripetere i test a distanza di settimane per attendere che gli anticorpi si siano sviluppati e possano essere rilevati.

Dati i limiti di ciascuno di questi esami spesso all’eventuale esito positivo vengono aggiunti esami quali il FTA-ABS (Fluorescent Treponemal Antibody Absorbed) e il TP-PA (Treponema pallidum Particle Agglutination) per la conferma della diagnosi.

VDRL e TPHA, come interpretare i risultati

La positività al TPHA non è, come abbiamo visto, necessariamente indice di un’infezione in corso, in quanto questo test restituisce il medesimo risultato anche a seguito del trattamento della malattia, così come quella al VDRL può essere oggetto di falsi positivi.

Questo mostra chiaramente come i risultati di questi test vadano sempre inseriti all’interno di una valutazione medica complessiva che tenga conto anche dell’eventuale fase di sviluppo della malattia.

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