Quando ci si approccia alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) c’è la possibilità, così come previsto dalle legge italiana, di conoscere lo stato di salute degli embrioni prima di prevederne il relativo trasferimento in utero. L’articolo 14 della Legge 40/2004, infatti, riconosce la facoltà della coppia che accede alla tecnica di fecondazione assistita di conoscere non solo il numero, ma anche lo stato di salute degli embrioni.

Per ottenere questo tipo di informazioni esiste la diagnosi preimpianto, una realtà che è bene conoscere per capirne il funzionamento, l’affidabilità, i rischi e il costo.

Cos’è la diagnosi preimpianto?

La Società Italiana Studi di Medicina della Riproduzione definisce la diagnosi genetica preimpianto come l’insieme di tecniche utilizzate per individuare eventuali embrioni o gameti con anomalie o patologie prima che questi vengano trasferiti nell’utero.

Esistono tre differenti categorie di diagnosi preimpianto: quella per le malattie monogeniche, quella per le anomalie cromosomiche e quella per le traslocazioni.

Come precisato nel decalogo sulla diagnosi preimpianto redatto dall’Osservatorio Malattie Rare, obiettivo di queste diagnosi è:

Come si effettua e come funziona

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Fonte iStock

Diagnosi preimpianto per malattie monogeniche (PGT-M)

La PGT-M si utilizza nel caso di genitori affetti da una malattia monogenica o della quale sono portatori. Tra le principali patologie oggetto di questa diagnosi ci sono l’emofilia, la talassemia e la distrofia muscolare.

La diagnosi preimpianto per le malattie monogeniche si esegue tramite uno studio preliminare del DNA degli aspiranti genitori (e in alcuni casi anche di altri membri della famiglia) condotto tramite un campione biologico (saliva, sangue o liquido seminale). Successivamente si esegue l’ICSI e gli embrioni prodotti vengono sottoposti a biopsia, ovvero il prelievo di materiale genetico dal quale viene estratto il DNA. Il DNA viene amplificato per ottenere le copie e individuare la presenza dell’eventuale mutazione associata a quella patologia. Nel caso in cui l’embrione risulta privo della mutazione può essere trasferito in utero. In caso contrario chi ha richiesto la diagnosi preimpianto può decidere di non trasferire quell’embrione.

Per poter accedere a questa diagnosi preimpianto è necessario che un genetista certifichi la presenza della condizione che ne giustifichi l’esecuzione. Dal 2015, a seguito della relativa sentenza della Corte Costituzionale, possono accedere alle diagnosi preimpianto non solo le coppie infertili o sterili affette da patologie genetiche o portatrici del gene responsabile, ma anche quelle fertili che vivono questo tipo di condizione.

Diagnosi preimpianto per anomalie cromosomiche (PGT-A)

In questo caso la diagnosi preimpianto è orientata a individuare l’eventuale anomalia nel numero di cromosomi. A differenza della PGT-M, la diagnosi preimpianto per le anomalie cromosomiche è un test di screening e pertanto non necessita dell’analisi preliminare del DNA. Si esegue direttamente l’ICSI per poi effettuare la biopsia sugli embrioni ottenuti seguendo la stessa procedura per la diagnosi per le malattie monogeniche.

Nel caso della diagnosi preimpianto per anomalie cromosomiche vi possono ricorrere anche le donne che hanno un’età avanzata (superiore ai 38 anni), le coppie nelle quali il partner maschile ha un fattore di infertilità severo o le donne che hanno avuto episodi di poliabortività o ripetuti fallimenti nelle tecniche di PMA.

Al termine di ciascuna diagnosi preimpianto coloro che l’hanno richiesta devono decidere se procedere all’impianto o meno degli embrioni prodotti. Quelli che non vengono impiantati non possono essere distrutti, così come previsto dalla stessa Legge 40/2004 e da diversi pronunciamenti della Corte di Cassazione.

La Consulta, infatti, nella Sentenza 229/2015 sancisce come “la malformazione dell’embrione non ne giustifica, solo per questo, un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani”. Per questo motivo gli embrioni non impiantati vengono crioconservati e, stando all’attuale legge vigente, possono essere utilizzati per tentare un’ulteriore tecnica di procreazione medicalmente assistita o abbandonati.

Le coppie, infatti, possono rinunciare agli embrioni, ma non possono consegnarli alla ricerca scientifica o donarli ad altre coppie. In caso di abbandono è il Centro nel quale sono crioconservati che diventa, a tempo indeterminato, responsabile di quegli embrioni.

Diagnosi preimpianto per traslocazioni (PGT-SR)

Questo tipo di diagnosi mira a individuare le anomalie della struttura dei cromosomi. Anche in questo caso per accedere alla diagnosi preimpianto è necessaria la certificazione di un medico e si effettua tramite indagine preliminare del DNA degli aspiranti genitori, ciclo di ICSI, biopsia degli embrioni, estrazione e amplificazione del DNA per verificare la presenza della traslocazione.

Percentuali di successo e rischi

Tutte le diagnosi preimpianto hanno un livello di accuratezza del 95-98% e sono esenti da rischi, sia per la madre che l’embrione stesso in quanto l’analisi viene condotta sulle cellule del trofoectoderma, ovvero quelle che serviranno alla formazione della placenta. Le percentuali di successo della ricerca di una gravidanza a seguito del ricorso della diagnosi preimpianto sono in media superiore al 40%.

Bisogna poi considerare anche le difficoltà e l’impatto psicologico ed emotivo di questo tipo di diagnosi. Sebbene sia un esame sicuro e altamente attendibile non sono da escludere le percentuali d’errore e l’assenza di una certezza sulla salute del bambino. Eventuali complicazioni e anomalie possono manifestarsi anche dopo l’impianto e nelle prime settimane di sviluppo embrionale.

La diagnosi preimpianto è inoltre un procedimento invasivo per l’embrione che può sollevare questioni etiche e criticità emotive soprattutto quelli legati alla decisione da prendere sulle sorti dell’embrione con anomalie genetiche.

Esiste anche la possibilità del cosiddetto Allele Drop Out (ADO), il fenomeno per cui un embrione di per sé sano viene invece diagnosticato come alterato (nei cromosomi o nei geni) e quindi scartato così come che uno diagnosticato sano e poi trasferito in utero sia invece portatore di un’alterazione. Queste tecniche offrono un importante aiuto per l’ottenimento di un concepimento, ma non possono costituire una garanzia di successo.

Quanto costa la diagnosi preimpianto?

L’accesso alla diagnosi preimpianto, oltre che limitato ad alcune specifiche situazioni, è condizionato anche da un costo non sempre da tutti sostenibile. Parliamo infatti di procedure che vanno da circa 500/600€ fino a superare anche i 1200/1500€.

Molto dipende dal tipo di diagnosi condotta, dalle caratteristiche del centro e dal pacchetto acquistato. La singola diagnosi può costare meno se eseguita all’interno dell’intero ciclo di PMA, ma in questi casi i prezzi complessivi aumentano in quanto si tratta di procedure e interventi particolarmente costosi e che richiedono strumentazioni e competenze di un certo livello.

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