Come noto una gravidanza fisiologica dura in media 40 settimane. Nelle prime settimane di gravidanza il ginecologo calcola la data presunta del parto: se il parto avviene tra le 38 e le 42 settimane è considerato a termine, se avviene prima di 38 settimane è detto pretermine mentre se arriva dopo le 42 settimane è protratto. Il travaglio nella maggior parte dei casi insorge spontaneamente: quando ciò non avviene può essere indotto dal medico: vediamo come e in quali casi.

Quando si ricorre all’induzione del parto

Se il travaglio non arriva naturalmente tra i 10 e 15 giorni dopo la data presunta del parto può essere indotto dal medico, per scongiurare complicazioni legate ad una gravidanza eccessivamente protratta.

Il parto può essere indotto anche nel caso di gravidanze a rischio complicazioni, in presenza di diabete gestazionale, infezioni o preeclampsia. Anche nel caso in cui si siano già rotte le acque senza che siano iniziate le contrazioni del travaglio dopo almeno 12 ore può essere necessario indurre il parto.

Come funziona l’induzione al parto

Come anticipato, il parto indotto si effettua tra la 41^ e la 42^ settimana di gravidanza, una volta valutato lo stato di salute della donna e la crescita del bambino.

Come indicano le linee guida redatte dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia, insieme a Aogoi e Agui, l’induzione del travaglio di parto (ITP) deve essere sottoposta a precise considerazioni:

Si dovrebbe prendere in considerazione il ricorso a un’ITP soltanto qualora si ritenga che questo intervento comporti benefici materni e fetali evidentemente maggiori e rischi significativamente minori rispetto all’attesa dell’insorgenza spontanea del travaglio di parto.

Ci sono varie strategie di induzione del parto: la differenza tra i diversi metodi è tra l’utilizzo o meno di farmaci.

1. Prostaglandine

Un elemento fondamentale del travaglio è dato dalle modifiche del collo dell’utero, che, sotto l’effetto delle prostaglandine, ormoni naturali, si raccorcia e si dilata preparandosi al parto.

Proprio le prostaglandine sono alla base di alcuni farmaci che vengono impiegati per l’induzione del parto. Le prostaglandine vengono somministrate attraverso degli ovuli o candelette che vengono inseriti nella vagina o nel canale vaginale per stimolare le modifiche della cervice e quindi far partire il travaglio attivo.

2. Ossitocina

Uno dei metodi più utilizzati prevede la somministrazione dell’ossitocina, un ormone che agisce naturalmente al momento del parto ma che viene impiegato anche artificialmente (tramite una flebo) per stimolare l’avvio del travaglio. L’impiego dell’ossitocina sintetica aumenta le contrazioni dell’utero e quindi facilita il parto, ma rende il travaglio più doloroso.

3. Cateteri trans-cervicali

Nel caso in cui vengano scelti metodi “naturali” il medico può optare (ma è una tecnica ancora poco diffusa) per l’introduzione all’interno del collo dell’utero di un palloncino che viene gonfiato in modo da stimolare la dilatazione della cervice e lo scollamento delle membrane.

4. Rottura delle membrane

Un altro metodo utilizzato per indurre il travaglio attivo è la rottura manuale delle membrane amniocoriali, o amnioressi: il medico interviene per rompere il sacco amniotico e far partire così il travaglio. L’amnioressi (o rottura delle acque) induce la maturazione della cervice, che porta all’avvio del travaglio con le contrazioni uterine e viene effettuata insieme alla somministrazione dell’ossitocina.

Quando il parto indotto non è indicato

La Sigo evidenzia come in presenza di alcune condizioni cliniche della donna o del feto l’induzione del parto sia sconsigliata: è il caso di un precedente parto cesareo, poiché aumenta il rischio di rottura dell’utero. Anche nel caso in cui la donna soffra di colestasi gravidica è sconsigliato ricorrere all parto indotto prima delle 38 settimane di gestazione.

I rischi dell’induzione del parto

L’induzione del parto, che sia meccanica o farmacologica, non è mai priva di rischi, per questo viene effettuata solo quando è davvero necessaria e dopo un’attenta valutazione. Il ricorso al parto indotto aumenta, ad esempio il rischio di rottura dell’utero e dell’insorgenza di infezioni.

Dal momento che le contrazioni vengono stimolate artificialmente, poi, il corpo non rilascia le endorfine che “attenuano” il dolore del parto, per questo spesso si somministra anche l’anestesia epidurale.

Durante le procedure dell’induzione di parto è poi necessario monitorare attentamente il tracciato cardiaco materno e quello fetale, poiché aumenta la frequenza dei battiti (tachisistolia).

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