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Entrare in contatto con il proprio bambino prima che nasca attraverso l'aptonomia, un approccio particolare e benefico non solo per il nascituro ma anche per i futuri genitori: ecco come funziona.
Questa meravigliosa scoperta è quanto si prefigge la cosiddetta aptonomia perinatale, che merita di essere conosciuta e approfondita, per comprenderne anche i reali benefici sia per la mamma che per il bambino.
Il significato del termine aptonomia lo si comprende dall’analisi delle due parole greche che compongono questa parola, ovvero “hapsis” e “nomos”.
Propriamente, traducendo le due parole, si ha la “regola del tatto”, meglio intesa come la creazione di un contatto tra due parti. In questo caso i genitori e il feto nel grembo. Ciò che colpisce maggiormente nell’aptonomia non è solamente il suo scopo, ma anche la sua origine.
Questa “tecnica”, questo approccio, nasce infatti dalle tragiche vicende che il suo ideatore, il ricercatore ebreo olandese Frans Veldman, ebbe durante la sua giovinezza.
Veldman, infatti, sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti, ebbe in quel contesto la chiara percezione di come il contatto umano e l’affettività tra le persone, sia fondamentale per lo sviluppo completo del potenziale di ciascun uomo.
Questo sviluppo è presente fin dal momento del concepimento, per questo si parla di aptonomia perinatale, un approccio che viene impiegato anche come metodo di preparazione alla nascita.
Nell’orrore dei campi di concentramento, dove l’umanità sembrava essere annichilita, Veldman ha trovato gli spunti per cercare, una volta tornato in libertà, le conferme scientifiche delle sue intuizioni: era fermamente convinto che il contatto tra madre e figlio fosse necessario a garantire al bambino una fiducia affettiva tale da permettergli di crescere bene nella vita e in grado di affrontare le varie sfide dell’esistenza.
Compreso il significato del termine possiamo approfondire meglio cos’è l’aptonomia andando a comprendere come funziona e come praticarla. Innanzitutto si può dire che il contatto con il bambino possono stabilirlo non solo le mamme, ma anche i papà.
Per praticarla la mamma si mette in posizione supina, rilassandosi il più possibile. Con molta calma inizia quindi a toccare il grembo e percepire il bambino e il suo corpo (sarà più facile con il passare dei mesi, quando sarà sempre più formato).
Una volta individuata la posizione le mamme devono fare dei profondi respiri per ammorbidire il tono muscolare e sentire più vicino il proprio bambino. Questo perché, essendo il grembo meno teso, il bambino riesce a muoversi con maggiore libertà.
Al pari di altri esercizi di distensione (come il praticare yoga durante la gravidanza), anche nell’aptonomia il principale vantaggio è quello di rilassare la mamma.
Praticando questo tipo di approccio si sono registrati degli aumenti nella produzione di beta-endorfina, che ha un effetto analgesico sulla donna. Questo tipo di “trattamento” permetterebbe inoltre alla donna di affrontare il travaglio in maniera più serena.
Infine c’è un aspetto anche psicologico di maggiore consapevolezza. Questa è preziosa soprattutto nei primi mesi della gravidanza, quando i genitori percepiscono che “qualcosa si muove” e che risponde alle loro sollecitazioni. Oltre all’enorme commozione è una presa di coscienza reale di cosa sta accadendo nel grembo materno.
Sono diversi gli studi e le ricerche che verificano i benefici dell’aptonomia cercando delle conferme dal punto di vista scientifico.
Il fenomeno va inteso e inquadrato in un’ottica completa che tenga conto del fatto che la comunicazione tra la madre (o il padre) e il feto è condizionata dalla percezione che i genitori hanno dei movimenti del bambino. Come si legge nel vademecum per gli addetti alla nascita, dal titolo Psicologia clinica perinatale di Imbasciati, Dabrassi, Cena:
La comunicazione motoria gestante-feto va pertanto intesa oltre il significato comunicazionale isolato della percezione da parte della madre dei movimenti attivi fetali: questi vanno integrati in una più vasta e continuativa comunicazione motoria, a sua volta implicata nella più generale comunicazione tattile, propriocettivo-motoria, umorale, nonché mediata da altre vie sensoriali, per esempio sonore.
Questo non significa che non ci sia un collegamento o che il feto non reagisca alle sollecitazioni esterne (carezze, parole, musica, eccetera), ma che è un tipo di comunicazione che deve tenere conto di tantissimi altri aspetti.
Articolo originale pubblicato il 20 novembre 2019
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