Anonimo

chiede:

Gentile dottore,
Le scrivo per avere una chiarificazione in merito a quanto è successo in
occasione del mio parto, avvenuto nel giugno del 2006. Sono stata
ricoverata alla 41+4 per induzione. Il travaglio è partito dopo 2 giorni,
alla terza applicazione di gel, ed è durato in tutto 7 ore (mi è stata
somministrata anche una flebo di ossitocina per “regolarizzare il
tracciato”). Durante la fase delle spinte mi è stata praticata anche, per
due volte, la manovra di Kristeller. Il mio bimbo alla nascita pesava 4
kg. Dopo la fase di secondamento, sono stata riportata in reparto dove
però ho cominciato ad avvertire dolori fortissimi alla zona perineale.
Alla visita il ginecologo mi ha diagnosticato la presenza di un ematoma.
Sono stata dunque riportata in sala parto dove mi hanno sedata (non ero
cosciente ma mi hanno detto che non si trattava di vera e propria
anestesia) per svuotare la sacca di sangue. Per me si è trattato di un
evento traumatico, anche perché ci ho impiegato moltissimo tempo per
riprendermi. Ero debolissima, l’emoglobina era molto bassa e mi hanno
dovuto somministrare flebo di ferro per quattro giorni. Inoltre,
nonostante gli antibiotici che mi hanno somministrato per bocca (soffro di
prolasso mitralico), la ferita da episiotomia si è infettata e ho perso i
punti prima del tempo. Alla mia richiesta di spiegazioni mi è stato detto
che al momento della visita prima del parto non si erano accorti di una
varice presente dietro la vagina. Una vena, al passaggio della testa del
bambino, si sarebbe compressa a tal punto da “scoppiare” e il sangue si
sarebbe riversato internamente formando una sacca che premeva sul nervo
delle pudenda.
Non so se Lei condivide tale spiegazione, in ogni caso mi piacerebbe saper
se in quel momento ho rischiato e quanto ho rischiato (in altre parole se
sono stata in pericolo di vita per l’emorragia o per l’evento in se) e se
nell’eventualità di un altro parto sono più predisposta di un’altra donna
al ripetersi dell’evento (in tal caso credo che chiederei un cesareo).
La ringrazio sin d’ora per la Sua risposta.

Come sempre vi preghiamo di non utilizzare questo servizio per chiederci
pareri sull’operato di altri colleghi. Non abbiamo elementi sufficienti per
esprimere un parere motivato, perchè non conosciamo a fondo il caso clinico,
non disponiamo della documentazione e soprattutto non eravamo presenti al
momento dei fatti e quindi ogni giudizio sarebbe inattendibile, quanto
scorretto. Posso dirle che, in una piccola percentuale di casi, la
complicanza da lei descritta, di un ematoma in sede perineale dopo il parto,
accade. La presenza di varici aumenta le possibilità, come anche parti più
complicati con feto grosso, come nel suo caso. La varice in sostanza si
rompe e lentamente il sangue invade gli spazi circostanti. Il sangue perso
può essere notevole, al punto da anemizzare il soggetto e creare anche
pericolo di vita. Si interviene come lei ha descritto, riesaminando la
ferita e praticando l’emostasi. Se l’anemizzazione è pericolosa per la vita,
si può ricorrere a trasfusioni di sangue. Dopo una tale evenienza, le
possibilità di infezione aumentano, come è tipico di tutte le ferite in
prossimità di ematomi. La legge prevede un’osservazione intensiva del
postpartum almeno per due ore, proprio per riconoscere in tempo le
complicanze emorragiche e intervenire in tempo. Mi sembra che nel suo caso
così sia accaduto. Per una prossima gravidanza, l’indicazione ad un taglio
cesareo è relativa e non assoluta, perchè non è detto che si ripeta
l’ematoma. Cordiali saluti.

* Il consulto online è puramente orientativo e non sostituisce in alcun modo il parere del medico curante o dello specialista di riferimento

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