L’ecografia, secondo la definizione utilizzata dall’Istituto Superiore di Sanità, è una tecnica non invasiva che permette di accertare alcune malattie tramite l’utilizzo di ultrasuoni (onde sonore ad alta frequenza) grazie alle quali visualizzare l’immagine di organi e tessuti interni. È una tecnica ampiamente utilizzata in gravidanza, tanto che per ogni trimestre una è offerta gratuitamente in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale. L’ecografia può essere eseguita tramite sonda esterna, tramite sonda interna o tramite endoscopio, a seconda dell’organo da indagare e del motivo per cui si effettua.

Oltre a quelle di routine eseguite durante la gravidanza, in alcuni casi si ricorre all’ecografia intrapartum. Scopriamo di cosa si tratta, quali informazioni permette di rilevare e in quali casi è consigliata.

Cosa si intende per ecografia intrapartum?

L’ecografia intrapartum si differenzia da quella antepartum (prima del parto) e quella postpartum (dopo il parto) e si svolge durante il travaglio. La particolarità di questa ecografia, come precisato dall’Associazione dei Ginecologi Italiani, è che non “non è raccomandata da alcuna linea guida nazionale né internazionale nell’assistenza alla donna in periodo prodromico o in travaglio”.

Nonostante questo, può essere utile in affiancamento alla visita ostetrica in caso di travaglio complicato per ottenere una corretta diagnosi di posizione della testa fetale. Anche per questo, come riportato in questo studio, il ricorso all’ecografia intrapartum è in aumento. Sono sempre di più le prove, infatti, che ne giustifichino l’utilità per valutare oggettivamente l’avanzamento del travaglio.

Per comprendere meglio la questione è utile partire dal dato che la diagnosi di posizione della testa fetale con una visita manuale si attesta tra il 15 e il 40% (dati AOGOI). La posizione fetale è essenziale per determinare la scelta tra un parto vaginale operativo (quello che il Manuale MSD definisce come il parto tramite l’applicazione alla testa del feto del forcipe o della ventosa durante la seconda fase del travaglio in modo da facilitare il parto) e un taglio cesareo, essendo il primo più sicuro e da preferire.

Il taglio cesareo, infatti, è associato a un aumento dei rischi materni come una grave emorragia, lesioni della vescica ed ematoma del legamento largo.

Come si effettua

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Fonte: iStock

Nelle linee guida dell’International Society of Ultrasound in Obstetrics and Gynecology (ISUOG) si evidenzia come l’ecografia intrapartum può essere eseguita utilizzando un approccio transaddominale o transperineale. L’ecografia si effettua tramite una macchina ecografica bidimensionale dotata di sonda convessa, come quella utilizzata per l’ecografia transaddominale fetale per la biometria e la valutazione dell’anatomia.

I marcatori ecografici utilizzati per misurare la stazione fetale durante il travaglio includono la distanza testa-perineo, l’angolo di progressione, la distanza testa-sinfisi fetale, la stazione ecografica translabiale intrapartum e la direzione fetale.

In quali casi l’ecografia può essere utile?

Non essendone ancora stato definito l’utilizzo in apposite linee guida è doveroso sempre ricordare come il ricorso a indagini diagnostiche non essenziali aumenti il rischio di ottenere informazioni fuorvianti. Il ricorso all’ecografia intrapartum può essere utile, in presenza di un ecografo in sala parto, per identificare la posizione del feto nel caso in cui i sintomi clinici non fossero sufficiente nella valutazione della parte presentata, in modo particolare in presenza di un ritardo nella progressione fetale.

Il motivo principale di ricorso all’ecografia intrapartum è quello di diagnosticare la posizione posteriore dell’occipite persistente (POPP). In questo caso, come riportato dal Manuale MSD, il feto è in presentazione cefalica ma con il volto rivolto verso l’alto. Con questa presentazione, spesso, il collo del feto, invece di piegarsi, tende a raddrizzarsi e la testa ha bisogno di più spazio per attraversare il canale del parto. Per questo motivo la posizione posteriore dell’occipite è la più comune causa di travaglio anomalo che si verifica in circa il 5% dei parti e nel 20% dei casi all’inizio del travaglio e che può richiedere il ricorso alla ventosa ostetrica, al forcipe o al parto cesareo.

Le ricerche condotte suggeriscono che l’ecografia intrapartum può essere utile nel sospetto ritardo o arresto della prima o della seconda fase del travaglio e nei casi di potenziale necessità di ricorso a un parto vaginale operativo.

I risultati dell’ecografia intrapartum possono essere utilizzati dagli ostetrici professionisti non solo per valutare lo stato della testa del feto, ma anche per analizzare lo stato cervicale (accorciamento, dilatazione e ammorbidimento) e per approfondire lo stato di separazione della placenta in modo da avere più (e migliori) informazioni per prendere decisioni cliniche valide e affidabili.

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