Durante la gravidanza arriva un momento in cui l’organismo si prepara al parto e perché questo avvenga ci sono diversi elementi, fattori e sostanze che interagiscono in modo da predisporre tutte le condizioni perché ciò avvenga.

Sebbene molti meccanismi siano ancora poco chiari, è diffusa la convinzione che nel parto giochino un ruolo fondamentale le prostaglandine. Scopriamo meglio di cosa si tratta e qual è il loro apporto al parto naturale e a quello indotto.

Cosa sono le prostaglandine?

Il Cleveland Clinic spiega le prostaglandine come un gruppo di lipidi dalle funzioni simili a quelle degli ormoni. Esistono diverse tipologie di prostaglandine ciascuna delle quali svolge funzioni fondamentali per la regolazione dei processi dell’organismo umano.

Queste sostanze sono simili agli ormoni perché si occupano di diverse funzioni, ma differiscono da loro in quando non sono prodotte dal sistema endocrino ma vengono prodotte di tessuto laddove ce n’è bisogno e si diffondono, come precisato da questo studio su ScienceDirect, solamente verso cellule limitrofe dello stesso tessuto.

Questo ridotto raggio d’azione è motivato dalla breve efficacia e durata di questo gruppo di lipidi.

Le funzioni delle prostaglandine

Funzioni-prostaglandine
Fonte: iStock

Come detto esistono diverse tipologie di prostaglandine, ciascuna deputata allo svolgimento di specifici compiti. L’azione delle prostaglandine dipende dal tessuto e dall’organo sul quale agiscono, sul tipo di funzione corporea o fisiologica che devono produrre e dal recettore su cui agiscono.

In generale le prostaglandine possono determinare l’allargamento (vasodilatazione) o il restringimento (vasocostrizione) dei vasi sanguigni, attivare o inibire l’accumulo di piastrine per la formazione di coaguli di sangue, causare febbre, incidere sulla percezione del dolore e provocare l’allargamento o il restringimento delle vie aeree (broncodilatazione e broncocostrizione).

Inoltre le prostaglandine regolano l’attività di diversi ormoni, inibiscono le secrezioni acide nello stomaco, diminuiscono la pressione all’interno dell’occhio e rilassano o contraggono la muscolatura liscia del tratto gastrointestinale. Nell’organismo femminile sono poi coinvolte nelle contrazioni dell’utero durante il ciclo mestruale per l’espulsione dell’endometrio e sempre tramite le medesime contrazioni dell’induzione del travaglio.

Alla luce di questa panoramica sulle loro funzioni, possiamo comprendere come le prostaglandine siano fondamentali per numerosi processi fisiologici dell’organismo umano. Può però capitare che vi sia una quantità eccessiva di prostaglandine, una condizione che può provocare infiammazioni e dolore intenso (come nel caso della menorragia con perdite mestruali abbondanti) che possono essere responsabili dello sviluppo di patologie croniche.

Per la gestione di questi effetti spesso in ambito medico vengono utilizzati diversi farmaci, soprattutto i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) che inibiscono gli effetti delle prostaglandine.

Il ruolo delle prostaglandine nel parto

Durante il travaglio, la pressione esercitata dalla testa del feto sulla cervice invia all’ipofisi un segnale per il rilascio dell’ossitocina; più l’utero si contrae maggiore è il rilascio di prostaglandine che, a loro volta, inviano il messaggio di produrre più ossitocina attivando di fatto un circolo virtuoso.

Come evidenziato in questo articolo scientifico, con la gravidanza le prostaglandine vengono prodotte (sintetizzate) all’interno dell’amnio e del corion, le membrane del feto e, come riportato in questo studio pubblicato sulla rivista scientifica PLOS ONE, sono presenti nelle urine e nel sangue materno così come nel liquido amniotico. Hanno lo scopo di ammorbidire e maturare la cervice, modificare la struttura delle membrane e contrarre il miometro (la muscolatura che riveste l’utero).

Il loro ruolo è fondamentale sia nell’insorgenza del parto a termine che di quello prematuro e l’efficacia della loro azione può dipendere dai cambiamenti nella sintesi, nel metabolismo e nell’attività dei vari recettori delle prostaglandine.

Se non è del tutto chiaro il meccanismo d’azione delle prostaglandine per l’avvio del travaglio fisiologico, ci sono diverse evidenze scientifiche che ne giustificano l’utilizzo per l’induzione del parto, tanto che l’Associazione dei Ginecologi Italiani ospedalieri (AOGOI) riferisce come si tratti di una delle principali tecniche farmacologiche utilizzate a questo scopo. La carenza di prostaglandine o la loro incapacità di avviare il travaglio a termine non è da considerare un problema di salute, come avviene invece nel caso di un eccesso di queste sostanze.

Nel parto indotto, come confermato da questo studio e dalle linee guida della Società Italiana di Ginecologia e Ostetrica (SIGO) sull’induzione al travaglio, le prostaglandine impiegate sono le PG (E2), che si sono rivelate le più efficaci sia per le possibilità di somministrazione (endovenosa, vaginale, orale, endocervicale ed extra-amniotica) sia per la capacità di indurre il parto in un intervallo di tempo ragionale rispetto all’ossitocina e all’amniotomia nelle donne con tassi di induzione sfavorevoli.

La somministrazione più utilizzata è quella vaginale che può avvenire tramite diverse formulazioni (gel, inserti a rilascio lento, pessari e compresse) e dosaggi.

Considerando come le prostaglandine siano presenti anche nello sperma, è opinione diffusa che il sesso possa essere un metodo per indurre naturalmente il travaglio. In realtà la quantità di prostaglandine presenti nel liquido seminale maschile è inferiore a quella necessaria per avviare il travaglio, ma allo stesso tempo è vero che l’orgasmo, congiuntamente allo sperma, possa aiutare a stimolare il travaglio.

Seguici anche su Google News!
Ti è stato utile?
Non ci sono ancora voti.
Attendere prego...

Categorie

  • Parto