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Parliamo di inclusione per quel che riguarda la gravidanza, scoprendo quali sono le barriere da abbattere e gli ostacoli da superare con alcune indicazioni pratiche.
La cura di una persona che necessita di assistenza sanitaria passa non soltanto dall’applicazione di procedure mediche volte a gestire i sintomi, risolverli e curare la condizione sottostante. Questo vale anche e soprattutto durante la gravidanza e il puerperio, un periodo nel quale la donna (e il suo corpo) e il bambino sono spesso oggetto di trattamenti e approcci non rispettosi della loro privacy e della loro dignitià. Ecco perché è necessario parlare di Inclusive Pregnancy Care.
Il Global Library of Women’s Medicine (GLOWM) definisce l’Inclusive Pregnancy Care come una componente fondamentale dell’assistenza materna e neonatale. Si tratta di un approccio volto a garantire che tutte le persone ricevano cure sicure, rispettose e accoglienti non solo durante la gravidanza, ma anche nel periodo del parto e del puerperio.
L’Inclusive Pregnancy Care è a tutti gli effetti un diritto umano, come ricordato dal documento pubblicato da MSD for Mothers (il programma globale di MSD/Merck sull’assistenza alla maternità) che riprende le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite.
Questo approccio si basa sull’attenzione al fatto che l’assistenza medico-sanitaria sia fornita in modo da tutelare la dignità, la privacy e la riservatezza dell’individuo. Per farlo è fondamentale che non vengano perpetrati danni e maltrattamenti e che ogni intervento sia erogato su scelte informate.
Perché questo sia possibile è necessario adottare un’impostazione preventiva che non si limiti ad applicare regole e procedure, ma che tenga conto delle esigenze individuali in modo che gli operatori sanitari possano offrire le loro competenze cliniche professionali senza trascurare quelle interpersonali e culturali. Una dicotomia troppo spesso presente nel settore che, senza voler giudicare o condannare, è importante contrastare così da offrire un servizio realmente valido.
Da questo punto di vista è interessante e importante anche sottolineare quanto riportato dall’Associazione Italiana di Ostetricia (AIO) che pone l’attenzione sulla necessità di promuovere e proteggere la salute e i diritti sessuali e riproduttivi di tutte le persone, creando protocolli specifici per le persone transgender trans, genderqueer e intersessuali. L’obiettivo finale dell’Inclusive Pregnancy Care è quello di offrire cure giuste, eque e rispettose incentrate sulla persona.
Quanto appena detto va a contrastare una serie di ostacoli che impediscono a molte persone di accedere a cure eque e dignitose. Il primo ambito di applicazione dell’Inclusive Pregnancy Care riguarda sicuramente il linguaggio. L’Official Pubblication of The College of Family Physicians of Canada segnala il fenomeno della “cisnormatività”, ovvero la tendenza che tutte le persone siano cisgender (quelle nelle quali l’identità di genere corrisponde al sesso assegnato alla nascita) fino a prova contraria con un pregiudizio di fondo che non si possa essere trans, genderqueer e intersessuali. Da questo punto di vista il problema terminologico emerge nell’uso di parole come “donna incinta”, “madre” e “maternità” che esclude di fatto le persone che non si identificano come donne durante la gravidanza. Le alternative linguistiche esistono e prevedono l’utilizzo di termini quali “genitori”, “partner” o “persona incinta” che non sviliscono la dignità delle persone cisgender.
L’altra grande realtà verso la quale è necessario prevedere cure inclusive per la gravidanza riguarda le persone con disabilità. La narrazione, anche quella delle linee guida ufficiali e delle informazioni e i protocolli previsti dalle varie strutture sanitarie, è spesso basata su persone prive di disabilità. Eppure anche queste possono poter portare avanti una gravidanza ed è necessario non ignorare la loro esistenza né sottovalutare l’importanza della loro dignità. Da questo punto di vista le nuove tecnologie possono offrire importanti risorse e strumenti per migliorare la sensibilizzazione in materia.
Non va infine ignorato il problema legato alle persone migranti. Queste già affrontano difficoltà e condizioni spesso svilenti alle quali si aggiungono anche discriminazioni, isolamento sociale e barriere linguistiche ed economiche che impediscono di conoscere i servizi sanitari disponibili e potervi accedere. In questo ambito giocano un ruolo importante i timori delle conseguenze legali (come la paura dell’espulsione) e, come ricordato nell’apposito documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), anche le differenze culturali (così come quelle religiose) nella percezione e il trattamento del corpo.
Per implementare l’Inclusive Pregnancy Care è necessario lavorare sia sul fronte istituzionale che su quello formativo. Per quel che riguarda l’impegno istituzionale è necessario che governi e istituzioni sanitarie prendano consapevolezza della necessità di offrire cure eque e inclusive, implementando sistemi per monitorare e intervenire in caso di maltrattamenti.
Sul fronte formativo è necessario sviluppare programmi obbligatori per il personale sanitario volti a colmare le barriere ancora oggi esistenti soprattutto in termini di comunicazione, linguaggio e mediazione linguistico-culturale. Di fronte si hanno delle persone, prima ancora che dei pazienti, alle quali garantire un supporto continuo, basato sul consenso informato per una cura incentrata sui diritti dell’individuo.
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