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Un esame molto semplice generalmente prescritto a ridosso del parto. Ecco perché fare un tampone vaginale in gravidanza e a cosa serve.
Il tampone vaginale è l’esame di routine per la diagnosi dello streptococco di gruppo B. Conosciamo meglio in cosa consiste questo esame, quando va fatto, quali sono i risultati possibili, quali i rischi di un esito positivo e cosa bisogna fare.
Molto semplicemente, il tampone vaginale è un esame di laboratorio semplice, veloce e indolore tramite il quale il medico che lo esegue, utilizzando un bastoncino ovattato (il tampone, appunto) preleva un campione di secrezioni vaginali e le invia al laboratorio per il relativo controllo. L’esame dura non più di 10 minuti e il medico utilizza uno speculum per la dilatazione delle pareti vaginali in modo da consentire poi l’introduzione del tampone con il quale prelevare le secrezioni da analizzare.
L’Ospedale Niguarda chiarisce come il tampone vaginale sia l’esame di laboratorio più sensibile per la diagnosi di diverse infezioni del tratto vaginale. Tra queste rientrano la vaginosi batterica, la Candida, la Gardnerella vaginalis, l’Escherichia coli, la Tricomoniasi vaginale, la Clamidia, la Gonorrea e quelle causate dallo streptococco di gruppo B.
Normalmente la flora vaginale è caratterizzata dalla presenza di batteri che non costituiscono un problema né per la donna né per il feto, almeno finché il bambino è all’interno dell’utero.
L’American College of Obstetricians and Gynecologists chiarisce come lo streptococco di gruppo B è uno dei tanti batteri presenti nel corpo, ma non è responsabile di malattie gravi e non è neanche un’infezione a trasmissione sessuale. I rischi di trasmissione dei microrganismi al feto, soprattutto lo streptococco di gruppo B, sono legati al momento del travaglio e del parto.
Questa è una possibilità rara, che interessa 1 o 2 bambini ogni 100, ma solamente quando la donna in gravidanza non è sottoposta alla cura antibiotica adeguata. Per questo motivo è fondamentale eseguire il tampone vaginale in gravidanza in modo da individuare la presenza del microrganismo e prevedere il trattamento necessario per proteggere il bambino.
Il calendario degli esami da fare in gravidanza prevede l’esecuzione del tampone vaginale nel terzo trimestre e più precisamente tra la 36esima e la 38esima settimana di gestazione, ovvero a ridosso del parto.
L’esecuzione del tampone vaginale è raccomandata anche per le donne che hanno già programmato un parto cesareo (o che potrebbero dovervi ricorrere). In questi casi il trattamento preventivo non è necessario se il sacco amniotico non si è rotto e il travaglio non è iniziato, ma la presenza dell’agente infettivo va sempre monitorata.
Il tampone vaginale può essere prescritto dal ginecologo anche in qualsiasi momento della gravidanza se sospetta la presenza di un infezione vaginale.
Tramite il tampone vaginale vengono indagate diverse condizioni dell’ambiente vaginale. L’esame verifica la quantità di cellule presenti, quella dei lattobacilli, i livelli di globuli bianchi, la presenza di funghi e parassiti e se la flora batterica risulta alterata o meno.
Dopo l’analisi microscopica viene effettuata una coltura che permette di individuare l’eventuale presenza di agenti infettivi. L’esito, quindi, può dare esito negativo o positivo. Nel primo caso non ci sono elementi su cui porre l’attenzione, mentre in caso di esito positivo molto dipende dall’agente infettivo presente.
Nel caso dello streptococco di gruppo B c’è, come detto, il rischio che il batterio raggiunga il bambino durante il travaglio e il parto e possa causare una malattia a esordio precoce o tardivo. Le malattie a esordio precoce sono quelle che si manifestano entro le 12-48 ore dalla nascita e fino ai 7 giorni successivi e sono principalmente la meningite, la polmonite e la sepsi. In rari casi il bambino può andare anche incontro al decesso a seguito del trattamento per la malattia a esordio precoce.
Le malattie a esordio tardivo, invece, sono quelle che si manifestano dopo la prima settimana di vita ed entro pochi mesi. Queste forme, meno comuni, possono verificarsi anche per il contatto del neonato con la madre infetta al GBS o con altri soggetti che hanno lo streptococco di gruppo B. Questa forma può portare a meningite, febbre alta, irritabilità, problemi di respirazione e scarsa alimentazione che sono i sintomi che nei primi mesi possono far sospettare l’infezione da GBS nel neonato.
La presenza dello streptococco di gruppo B dall’esito del tampone vaginale non è necessariamente indice di un problema serio; è però un fattore di rischio particolarmente grave, motivo per cui è necessario individuarlo e gestirlo in maniera adeguata. La presenza di questo batterio, infatti, può portare in rari casi anche a un aborto o a una morte perinatale.
In caso di esito positivo del tampone si prevede l’iniezione dell’antibiotico per via endovenosa all’inizio del travaglio. L’antibiotico maggiormente impiegato è la penicillina che è il farmaco migliore per prevenire l’insorgenza delle malattie a esordio precoce. In caso di allergia alla penicillina vengono effettuati ulteriori controlli e valutato il ricorso ad altri antibiotici.
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