Quello è stato il giorno in cui, forse per la prima volta davvero, ti sei resa resa conto che gli imprevisti – lo dice la parola, d’altronde – sono dietro l’angolo, è stata la volta che hai deciso di fare qualcosa per proteggervi.

Uno non si sveglia da un giorno all’altro pensando di firmare un’assicurazione sulla vita, quasi sempre succede qualcosa che ti porta a sentirne l’esigenza: un lavoro da freelance che sai che non ti tutela in caso di infortunio, una cosa che accade a un amico. Nel mio caso è stata quella corsa in ospedale con la bambina.

Una di quelle volte in cui devi prendere una decisione in un nanosecondo. Stai riordinando la sua stanzetta, senti un tonfo. Il tempo si ferma e tutto quello che riesci a fare è precipitarti sul mucchietto di lacrime e urla che ti fissa come se l’avessero appena squartata. Te lo ripeti in continuazione, è come un mantra: “Non si è fatta niente, non si è fatta niente”. Ma lei giù a urlare come una matta.

Ti guardi intorno: sembrerebbe tutto normale, tutto com’era esattamente un minuto fa, non fosse per quelle strilla che ti fanno sobbalzare. “Ma come avrà fatto?”, non fai che chiederti. Come, come è possibile che mi giro un attimo e lei si schianta contro l’armadio? Maledizione.

Che non sia niente di grave sembra (quasi) sicuro: ma già si sta formando un bernoccolo grande (ti sembra) almeno quanto la tua mano e le urla non accennano a fermarsi.Sei un po’ meno sicura della non-gravità della situazione. La prendi in braccio – non smette di piangere – cerchi di rintracciare il papà, gli lasci un messaggio il più possibile non allarmato su WhatsApp, fallisci miseramente, la metti nel seggiolino dell’auto e via, di corsa in pronto soccorso. Sai che la corsa è inutile, sai che non si è fatta niente: è stata solo una botta un po’ più forte, sono i suoi primi passi e non è certo la prima né l’ultima che prenderà.

Appena prima di entrare in pronto soccorso cerchi di darti un contegno, non vuoi passare per la madre isterica che fa ricoverare la figlia al primo graffio. Però il suo pianto inconsolabile non ti fa stare tranquilla per niente. Una volta in sala d’aspetto sei accolta dalla dottoressa di turno che ti chiede gentilmente cos’è successo, dà una rapida occhiata e scrive qualcosa su un foglio: aspettate qui, fra un po’ ripasso, dice.

Accanto a te una signora con un bambino di 4, forse 5 anni, un piede fasciato e uno sguardo colpevole. “Stava saltando dal divano”, ti dice scuotendo la testa. La dottoressa torna da te: “Allora, cos’abbiamo qui?” Inizi a spiegare che la bimba stava giocando, ti sei girata un attimo e – vai a sapere come – lei è inciampata, e non ha voluto proprio saperne di mettere le mani avanti per attutire il colpo. È atterrata praticamente di faccia sull’armadio, ed eccovi lì.

La dottoressa guarda la bimba, la piccola tumefazione poco sopra l’occhio sinistro – improvvisamente ti sembra molto meno nera e brutta di prima – controlla la reazione degli occhi, misura la temperatura. “Un po’ di ghiaccio, così per un’oretta e poi dovrebbe iniziare a passare. La tenga controllata fino a domani, se gioca come al solito, se perde l’appetito. La svegli ogni due-tre ore quando dorme solo per controllare la reattività ma non è niente di grave, non si preoccupi”. E arrivederci.

Guardi la ex-disperata che nel frattempo sta fissando ipnotizzata le farfalle giganti sul vetro del pronto soccorso pediatrico e ti accorgi che ormai ha smesso di piangere: spaventata com’eri non ci avevi nemmeno fatto caso. È la prima volta da quando è nata, 10 mesi fa, che ti viene tutta questa paura. E sono solo i suoi primi passi, ti dici. Cominciamo bene, ti dici.

Tornate a casa, il papà vi accoglie tramortito: cos’è successo? Lo rassicuri rassicurando te stessa: normale amministrazione. I bambini cadono, pare. E si fanno male. Ma non troppo male, per fortuna.

Un pensiero inizia a ronzarti in testa: è andata bene, è bello che sia andata bene. Ma se fosse andata male? Se si fosse fatta male davvero? Cerchi di scacciare il pensiero ma quello torna, insistente. Essere genitori, lo sai da quando lo sei diventata anche tu, è questo: vivere in un pressoché costante stato d’ansia. Un vero divertimento, insomma.

D’un tratto l’illuminazione (non proprio rassicurante) ti coglie: come si fa male lei, così può succedere anche a me e a suo papà. Cioè, noi magari non inciampiamo nei comodini, ma se ci succedesse qualcosa? Se ci facessimo male, se avessimo un incidente, se per qualsiasi motivo fosse uno di noi ad avere bisogno di cure e assistenza? Chi si occuperebbe di lei? Come possiamo garantirle un futuro?

Vi mettete a discutere delle eventualità, dei possibili scenari e di come preservare quello che avete di più prezioso e che, a quanto pare, possiede già un’abilità incredibile nel mettersi nei guai da sola. Scopri che un modo per evitare che quei guai diventino ancora più seri, in tua assenza, c’è: così, dopo esserti informata in lungo e in largo, prendi la decisione che non avresti mai preso in considerazione prima di quel momento, prima di avere un essere umano di cui occuparti, e decidi di firmare quell’assicurazione sulla vita. Una scelta che, ti ripeti, ti permetterà, qualsiasi cosa succeda, di sapere che ci sarà chi si occuperà di lei. Sperando (ti ripeti anche questo) che non ce ne sia mai bisogno.

Questa prima corsa in ospedale ti riporta una nuova e per certi versi inedita realtà, ti ricorda che gli imprevisti possono accadere, e in effetti accadono: da oggi hai una certezza in più, hai la consapevolezza di fare qualcosa di concreto per il futuro di tua figlia. Tua figlia: che nel frattempo sta dormendo beata sul divano. Altro colpo al cuore: “Oddio quanto tempo è passato? Saranno già due ore?” La svegli dolcemente. Apre gli occhioni, ti sorride. È andata bene. Andrà bene.

La presente comunicazione è finalizzata al collocamento di contratti assicurativi. Prima della sottoscrizione leggere il Set Informativo disponibile su www.genertellife.it.

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