Fumatrici in gravidanza: quante donne incinte fumano e quante riprendono dopo?
I numeri sulle fumatrici in gravidanza raccontano un'altra storia, un'altra versione dei fatti. Ecco cosa c'è da sapere.

I numeri sulle fumatrici in gravidanza raccontano un'altra storia, un'altra versione dei fatti. Ecco cosa c'è da sapere.
Tra le principali raccomandazioni rivolte alle donne in gravidanza c’è quella di smettere di fumare. Nonostante la consapevolezza dei danni del fumo (anche) sullo sviluppo del feto, non sempre è così facile smettere. Lo è in generale e lo è in modo particolare durante la gravidanza, sia perché si tratta a tutti gli effetti di una dipendenza, sia perché le settimane di una gestazione sono particolarmente faticose e stressanti creando le condizioni favorevoli per voler soddisfare il bisogno di fumare.
La questione del fumo in gravidanza non è un problema prettamente individuale, in quanto a essere coinvolte ci sono anche dinamiche legate all’impatto sanitario e sociale di questo fenomeno. È una realtà complessa che, al netto di tante contraddizioni, molti Paesi stanno tentando di affrontare.
Cerchiamo di fare il punto della situazione sulle fumatrici in gravidanza andando a comprendere meglio i dati di questo fenomeno e i principali elementi intorno ai quali ruota il dibattito pubblico.
In un’indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) è emerso come il 23% delle donne intervistate fumava prima di rimanere incinta. Di queste, il 70% ha smesso durante la gravidanza. Tra le donne che avevano smesso, il 18% ha ripreso a fumare entro 3 mesi dal parto, mentre il 30% è tornata a farlo entro un anno dalla nascita del bambino.
Un altro aspetto molto importante sul quale porre l’attenzione riguarda il numero di donne che smettono di fumare in relazione all’allattamento al seno. Tra quelle che avevano continuato a fumare in gravidanza, il 35% ha smesso entro 3 mesi dal parto, e il 33% di loro ha mantenuto l’astinenza fino a 12 mesi dalla nascita del bambino.
Inoltre, tra le donne che avevano smesso di fumare in gravidanza, il 10,5% ha ripreso a farlo a 3 mesi dal parto, rispetto al 36,1% di quelle che non allattavano. Una tendenza simile si osserva anche a 12 mesi dal parto: il 17,1% delle donne che allattavano al seno ha ripreso a fumare, contro il 35,8% di quelle che non allattavano.
Questi dati evidenziano che l’allattamento al seno è associato a una maggiore probabilità di mantenere l’astinenza dal fumo nel periodo post-partum. Se la gravidanza rappresenta il principale motivo per smettere di fumare, l’allattamento al seno sembra essere il fattore più determinante per non riprendere dopo il parto.
Oltre a essere uno dei periodi di tempo nei quali la donna è regolarmente sotto controllo medico, la gravidanza è anche l’occasione in cui si adottano stili di vita e scelte alimentari più salutari. Non necessariamente si riesce ad avere un comportamento “da linee guida mediche”, ma si ha una maggiore sensibilità e attenzione innanzitutto per tutelare lo sviluppo e la salute del nascituro. È interessante, come evidenziato in questo studio, che circa il 99% delle donne incinte riferisca di essere consapevole che fumare in gravidanza può causare seri danni al bambino. Eppure la consapevolezza non basta.
Tra gli elementi interessanti da considerare, come riportato sul portale Practical Health Psychology (affiliato alla European Health Psychology Society) che cita uno studio pubblicato su BMJ Open, è che solo meno della metà delle donne incinta dichiara di voler provare a smettere di fumare a breve (entro trenta giorni). Inoltre più passano le settimane di gravidanza più diminuiscono le motivazioni nel provare a smettere di fumare. Ma c’è di più: la volontà, la motivazione, di smettere di fumare non aumenta le possibilità di riuscirci. Questo vale anche per le donne non gravide, così come è esperienza comune che il volere perdere peso, ridurre lo stress, mangiare meno, eccetera, eccetera, non basta per riuscire a perseguire questi obiettivi. Con buona pace della narrazione per cui volere è potere.
Fumare in gravidanza (anche le sigarette elettroniche) fa male, lo sappiamo. Il fumo riduce la quantità di ossigeno disponibile per il feto, aumenta il rischio di aborto spontaneo, parto prematuro, riduzione della crescita fetale e difetti congeniti. Il fumo, anche quello passivo, ha effetti negativi anche sulla fertilità e la capacità di rimanere incinta: altera la produzione di estrogeni e progesterone rendendo più difficile l’ovulazione, l’impianto dell’embrione e la prosecuzione della gravidanza.
Senza dimenticare che i rischi (anche fatali) proseguono anche dopo il parto con una maggiore incidenza della Sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS), delle malattie respiratorie (bronchiti, polmoniti, tosse e infezioni), dell’otite media e di problemi nello sviluppo neurologico e comportamentale. Anche perché il fumo può ridurre la disponibilità di latte materno trasferendo la nicotina e le altre sostanze tossiche al neonato.
A rendere fallimentari i tentativi di smettere di fumare ci sono diversi fattori, sia di natura fisica che psicologica e sociale. Vi è anche da considerare che la terapia sostitutiva della nicotina (NRT) è raramente utilizzata in gravidanza, nonostante le bassi dosi di nicotina impiegati siano associate a un rischio più basso per il nascituro rispetto al fumo continuativo. L’unico vero modo efficace per le fumatrici in gravidanza di smettere è affrontare la dipendenza tramite un supporto comportamentale.
Da questo punto di vista è interessante registrare anche il dibattito pubblico che sta avvenendo da anni Oltralpe. La Francia, come riportato dal Ministère du Travail, de la Santé, des Solidarités et des Familles, ha il ha il tasso più elevato di tutta Europa di donne fumatrici nel terzo trimestre di gravidanza (17,8%). Questo, come analizza Le Monde, mostra il limite (o l’inefficacia) delle numerose campagne di salute pubblica volte a informare le donne sui rischi del fumo in gravidanza per ridurre l’incidenza. Nonostante più della metà delle donne francesi riduca il numero di sigarette durante la gravidanza, non smette mai del tutto.
Tra le misure messe in atto dal governo francese per contrastare questo fenomeno (che include anche preoccupazioni in termini di salute pubblica) c’è il Piano national de lutte contre le tabac (PNLT) 2023–2027 che prevede un aumento del prezzo del pacchetto di sigarette. Questo approccio è supportato anche dalle evidenze dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per cui il significativo aumento del prezzo del tabacco è la misura più efficace ed economica per ridurne l’uso.
C’è però sempre da considerare anche il rovescio della medaglia con il rischio di causare un danno (stigmatizzare le donne che fumano in gravidanza) per perseguire un bene (ridurre il numero delle fumatrici). Sulla rivista Santé Publique è stato pubblicato uno studio che analizza proprio come le fumatrici in gravidanza spesso affrontano un forte giudizio sociale, che può portare a sentimenti di colpa e vergogna. Come emerge anche da questo studio c’è poi il problema che, per timore di giudizi o rimproveri, alcune donne nascondono il loro status di fumatrici ai medici o evitano del tutto di rivolgersi ai servizi sanitari.
Quello delle fumatrici in gravidanza, quindi, resta un fenomeno complesso, che richiede innanzitutto uno sforzo di comprensione delle reali difficoltà nello smettere di fumare, accompagnato dalla stessa fatica nel sottrarsi a ogni facile giudizio o semplificazione.