Un terzo dei bambini nati da madri over 40 è concepito tramite tecniche di PMA

Nel contesto del calo demografico generale, gli unici dati positivi arrivano dalle nascite dalle tecniche di PMA. Analizziamo i numeri per comprendere meglio questa realtà.

Il calo demografico è un fenomeno serio che interessa in maniera trasversale quasi tutti i Paesi del mondo. In modo particolare l’Europa con l’Italia che è uno dei Paesi in cui si fanno sempre meno figli. I dati del primo bilancio demografico mensile del 2025 dell’ISTAT, infatti, mostrano che nei primi due mesi del 2025 sono nati 57.000 bambini, con un calo dell’8,3% rispetto allo stesso periodo del 2024. Nel solo gennaio 2025 le nascite sono state 31.000, in diminuzione del 6% su base annua.

Come per tutti i fenomeni complessi le cause sono tante e spesso difficili da isolare, ma è interessante fotografare quello che sta avvenendo, con un trend ormai consolidato, con le nascite da tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Oggi, come riportano i risultati delle ricerche del programma Age-It, le tecniche di PMA hanno un’incidenza del 3,7% sul tasso di fecondità nazionale. Un aumento, come detto, costante. Basti pensare, così registra l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è triplicato nel corso degli ultimi quindici anni passando, con una serie di evoluzioni nel tempo, dai 37.257 cicli iniziati nel 2005 ai 92.407 nel 2021.

In Italia un terzo dei nuovi nati da donne con più di 40 anni arriva proprio da queste tecniche di fecondazione assistita ed è un dato interessante di cui tenere conto anche e soprattutto in un contesto demografico condizionato da una riduzione delle nascite (per scelta o infertilità) e dall’aumento dell’età in cui si diventa genitori per la prima volta.

La diffusione della PMA

Dati-PMA-Italia
Fonte: iStock

Le ragioni per cui in Italia si ricorre sempre più spesso alle tecniche di PMA sono, come detto, diverse. Uno dei fattori che incide maggiormente è indubbiamente l’età che più aumenta più diminuisce la capacità riproduttiva (femminile, ma anche maschile). Cala progressivamente il numero (ma anche la qualità) degli ovociti e anche gli spermatozoi vanno incontro a una minore capacità di fecondare. L’età fertile corrisponde sempre meno all’età in cui le donne e le coppie decidono di fare figli, anche per le ben note difficoltà di trovare quella stabilità (innanzitutto professionale ed economica, ma anche abitativa) necessaria per intraprendere una decisione di questo tipo.

L’età è quindi il principale limite alla fertilità e allo stesso tempo è uno degli ostacoli che la PMA può superare (o comunque ridurre l’incidenza). È soprattutto per questo motivo che si registra un aumento delle nascite ottenute attraverso le tecniche di PMA che va in direzione opposta rispetto al trend osservato nella popolazione generale.

In realtà l’età rimane un elemento discriminante per il successo anche delle stesse tecniche di procreazione assistita. Dalla Relazione annuale 2024 del Ministero della Salute sullo stato di attuazione della Legge 40/2004, che analizza l’attività dei centri di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) in Italia nel 2022, emergono diversi dati interessanti. Per le donne con meno di 35 anni, il tasso di successo delle gravidanze iniziate è del 18,1%, mentre per quelle con più di 43 anni scende al 4,5%. Inoltre, per le donne con età superiore a 43 anni, la percentuale di gravidanze con esito negativo è la più alta, pari al 51,2%.

Va inoltre considerato che la percentuale di esiti negativi (aborti spontanei, terapeutici e gravidanze ectopiche) nelle gravidanze monitorate è stata del 26,2%, in leggera diminuzione rispetto agli anni precedenti. Da questo punto di vista, infatti, la probabilità di ottenere un parto per una donna che si sottopone a un ciclo di PMA, è aumentato nel tempo. Nel 2021, questo tasso è passato da circa 10 parti ogni 100 prelievi di ovociti nel 2005 a 24 nel 2021, evidenziando un miglioramento nell’efficacia delle tecniche di PMA.

Ampliando la prospettiva è utile anche contestualizzare il fenomeno ricordando che nel 2023 in Italia si è raggiunta la media di 1,2 figli per donna, sfiorando il minimo storico (1,19) toccato nel 1995.

L’accessibilità delle procedure di PMA in Italia

I motivi per cui le coppie fanno meno figli, come più volte ricordato, sono diversi e legati sia ai limiti biologici, ma anche alla libera scelta dei singoli (elemento sempre troppo trascurato) così come al panorama economico-lavorativo estremamente fragile.

Va però tenuto conto anche della difficoltà di accedere alla PMA in Italia. Sebbene molti cambiamenti ci siano stati rispetto al 2004 (quando fu approvata la relativa Legge 40), l’iter procedurale (e non solo) rendono complesso ricorrere a queste possibilità. Nel nostro Paese vige il principio di gradualità per cui si ricorre prima alle tecniche meno invasive (generalmente anche meno efficaci) per poi solo successivamente valutare quelle di II e III livello.

Il ricorso alla PMA non è poi sottoposto alla semplice volontà dei richiedenti, ma si deve seguire un iter diagnostico e medico volto ad accertare l’esistenza delle condizioni che la legge prevede giustificare questa modalità di procreazione.

Un altro dato importante da registrare è che l’accesso alle procedure di PMA non è uguale in tutta Italia. I centri pubblici e privati convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) non solo sono in lieve calo negli ultimi cinque anni, ma sono prevalentemente concentrati nelle regioni del Nord. Un fattore che condiziona (o esclude del tutto) un’importante fetta della popolazione anche solo dall’idea di percorrere questa strada.

Inoltre, all’inizio del 2025, con l’entrata in vigore del Decreto del 25 novembre 2024 del Ministero della Salute, sono state aggiornate le tariffe nazionali per le prestazioni garantite dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Tra queste sono state inserite anche quelle per la PMA con specifici limiti di età e numero di cicli. Nonostante questo, come riportato da Il Sole 24 Ore, diverse regioni (in modo particolare Calabria, Liguria, Marche, Molise, Puglia e Sardegna) non riescono a garantire l’applicazione di quanto previsto dalla normativa. A conferma di come il calo delle nascite in Italia non è solo una questione di trasformazioni profonde nella società, nei tempi e nelle scelte individuali, ma anche un riflesso delle difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari.

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