Anonimo

chiede:

Salve, ho 27 anni e abito a Bologna. Mio padre era emofilico (dico
era perché purtroppo non c’è più). Vorrei cercare un figlio, devo far
qualche esame specifico? Siccome lui era l’unico caso in famiglia (o almeno
per quello che mia nonna, l’unica ancora in vita, si ricorda) ci possono
essere dei problemi per eventuali esami siccome non ho nessuno “storico”?
Dove posso rivolgermi visto che a Bologna al centro emofilici del S. Orsola
non sono stati disponibili neanche per dei chiarimenti?

Egregia Signora,
l’emofilia è una malattia ereditaria dovuta ad un difetto della coagulazione
del sangue. La coagulazione è il processo con cui, in caso di fuoriuscita
dai vasi sanguigni, il sangue forma un “tappo” composto da piastrine, cellule
del sangue e fibrina, un componente del plasma.
La coagulazione è un processo complesso, che comporta l’attivazione di numerose
proteine del plasma in una specie di reazione a catena. Due di queste proteine,
il fattore VIII ed il fattore IX -che vengono prodotte dal fegato- sono
assenti o difettose nelle persone affette da emofilia.
Esistono due forme diverse di emofilia:
– emofilia A, causata da deficienza di fattore VIII
– emofilia B, causata da deficienza del fattore IX.
I sintomi delle due malattie sono praticamente identici e solo tramite gli
esami di laboratorio, o conoscendo la storia familiare, il medico può differenziare
questi due tipi di emofilia. Questa differenza è importantissima ai fini
della terapia, perché determinerà quale dei fattori bisognerà eventualmente
somministrare alla persona affetta.
Esiste un’altra malattia simile all’emofilia (la malattia di von Willebrand)
che colpisce sia i maschi che le femmine.
Si tratta di un difetto in un altro fattore della coagulazione (il fattore
di von Willebrand) e di solito non provoca sintomi molto gravi.
Entrambe le emofilie colpiscono solo i maschi, mentre le femmine possono
essere portatrici sane. Solo in rarissimi casi le femmine possono presentare
i sintomi della malattia. Le persone affette subiscono facilmente emorragie
esterne ed interne più o meno gravi. L’emofilia si manifesta essenzialmente
in 2 forme:
Forma grave, in cui l’attività coagulativa è inferiore all’1% del normale.
Le persone affette dalla forma grave rischiano di avere gravi emorragie
in seguito ad estrazioni dentarie, operazioni chirurgiche o ferite. Un pericolo
serio è la possibilità di emorragie interne apparentemente spontanee, anche
dopo traumi talmente lievi da passare quasi inosservati. Microtraumi possono
causare ripetute emorragie nelle articolazioni (chiamate emartri), causando
dolori e rigidità articolare. Altri sintomi più rari sono la presenza di
sangue nelle urine (ematuria) o emorragie intracraniche, che sono estremamente
pericolose. La forma grave colpisce circa il 60-70 per cento delle persone
affette da emofilia ed i primi sintomi si verificano in genere quando il
bambino comincia a camminare.
Forma moderata o lieve, in cui le emorragie spontanee sono molto meno frequenti,
così come i problemi articolari. Alcune persone hanno una forma talmente
lieve di emofilia che può passare inosservata ed essere diagnosticata per
caso in età adulta.
I due tipi di emofilia A e B sono causati dall’alterazione di due geni
diversi, situati entrambi sul cromosoma X. Si conoscono diverse alterazioni
in questi geni, ma tutte portano alla produzione di fattore VIII o IX difettosi,
oppure ne impediscono del tutto la produzione.
La trasmissione della malattia è legata al sesso: colpisce solo i maschi,
mentre le femmine sono portatrici sane. Una madre portatrice sana avrà ad
ogni gravidanza 1 probabilità su 2 di concepire un figlio maschio malato,
e 1 su 2 di avere una figlia portatrice. Non esistono maschi portatori sani.
I figli (maschi) di uomini malati sono sani (se la madre non è portatrice)
mentre le figlie saranno tutte portatrici. Nelle famiglie in cui siano presenti
casi di emofilia è possibile sottoporre le femmine all’analisi del DNA,
che si effettua a partire da un normale prelievo di sangue, per stabilire
se siano portatrici. E’ anche possibile effettuare la diagnosi prenatale
nelle gravidanze a rischio. Alcune donne portatrici hanno un’attività coagulativa
più bassa del normale e possono presentare alcuni lievi sintomi, come ad
esempio la tendenza a perdere molto sangue durante le mestruazioni. In circa
1 caso su 3 di emofilia A, possono nascere figli emofilici da genitori sani.
In questi casi l’alterazione genica si è verificata al momento della formazione
degli spermatozoi o degli ovuli. Se gli esami indicano chiaramente che nessuno
dei genitori è portatore, le possibilità di avere un altro figlio ammalato
è bassa. Le coppie che temono di poter trasmettere l’emofilia ai propri
figli possono rivolgersi ad un centro di consulenza genetica, dove nel corso
di un colloquio potranno essere informati in modo preciso sulle possibilità
di dare alla luce figli malati o portatori, dopo aver eventualmente eseguito
gli esami ritenuti opportuni.
Il test di laboratorio più utilizzato è chiamato tempo di tromboplastina
parziale (PTT). Nelle persone affette da emofilia il tempo di tromboplastina
parziale risulta più lungo del normale. Altri valori, come il tempo di emorragia,
il tempo di protrombina e la conta delle piastrine, sono normali. La conferma
e la tipizzazione dell?emofilia (se di tipo A o B, se lieve, moderata o
severa) viene poi avvalorata dal dosaggio delle proteine plasmatiche carenti
(il fattore VIII o il fattore IX), metodica ora abbastanza diffusa nei laboratori
analisi di molti ospedali del territorio nazionale.
Il trattamento per l’emofilia consiste nella terapia sostitutiva, cioè
nella somministrazione del fattore mancante (fattore VIII nell’emofilia
A, fattore IX nella B). Fino a pochi anni fa questa era una pratica necessaria
ma rischiosa, perché l’unico modo per ottenere questi fattori era quello
di concentrarli partendo dal sangue di molti donatori, con un elevato rischio
di contrarre virus come l’HIV o l’HCV (responsabile di epatite). In anni
passati, molti emofiliaci sono stati contagiati da questi virus presenti
nel sangue dei donatori; oggi questa possibilità è improbabile, grazie ai
maggiori controlli ed al trattamento del sangue dei donatori. Inoltre, oggi
le tecniche di ingegneria genetica permettono di ottenere gli stessi fattori
in grande quantità, senza la necessità di ricorrere a donatori, evitando
così ogni pericolo di infezione: una parte sempre maggiore di questi fattori
sostitutivi viene prodotta tramite ingegneria genetica. La complicazione
principale della terapia sostitutiva è la comparsa, nel sangue dei riceventi,
di anticorpi diretti contro il fattore VIII o IX, che ne neutralizzano l’effetto,
e che possono rendere difficile la terapia. Tutti i farmaci, come l’aspirina,
che hanno un effetto negativo sulla coagulazione, devono essere sempre evitati.
La frequenza della terapia sostitutiva va decisa dal medico in funzione
del caso specifico. In genere, le persone affette da forma grave necessitano
di una terapia continua, mentre nelle forme lievi la terapia sostitutiva
si effettua generalmente in seguito a traumi, o in previsione di eventi
come operazioni chirurgiche, estrazioni dentarie etc… Molti centri hanno
organizzato programmi domiciliari che consentono ai pazienti di ricevere
l’infusione ai primi sintomi. Nelle forme lievi di emofilia A, per episodi
emorragici minori si può usare la desmopressina, un farmaco capace di determinare
un aumento del 25-30 per cento del fattore VIII nel plasma.
Egregia Signora, mi faccia sapere la composizione della sua famiglia, cioè
se ci sono altri casi in famiglia, se lei ha fratelli, sorelle nipoti,
ecc. cordialmente

* Il consulto online è puramente orientativo e non sostituisce in alcun modo il parere del medico curante o dello specialista di riferimento

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