In Italia la depressione post partum colpisce tra il 10 e il 15% di donne nei primi tre mesi di vita del figlio, che si traduce in cifre molto più ampie – fra le 50 e le 100 mila – all’anno. Fra loro, però, meno del 50% chiede apertamente aiuto e sostegno (fonte Kairos Donna, secondo i dati riferiti al 2022), perché la depressione post partum è spesso vista, ancora oggi, come un vero e proprio tabù.

Per contrastare quella che invece è a tutti gli effetti una problematica estremamente seria del post gravidanza sta per essere commercializzata una pillola, prodotta da Sage Therapeutics Laboratories e già approvata dalla FDA (Food and Drugs Administration) americana. La domanda è, ovviamente, quando il farmaco arriverà nel nostro Paese.

A provare a rispondere, ascoltata da Vanity Fair, la presidente della Società italiana di psichiatria (Sip) Emi Bondi: “Dipende, conteranno anche l’accuratezza e la quantità di studi e di documentazione che verrà fornita da FDA. Certo, saranno necessarie le ratifiche prima dell’EMA (l’Agenzia europea per i medicinali) e poi del nostro ente nazionale di riferimento, l’AIFA (Agenzia italiana del farmaco). Stimo circa un anno e mezzo. Comunque, quando un farmaco viene approvato dalla FDA, difficilmente poi a livello europeo trova controindicazioni o ostacoli all’utilizzo“.

La depressione post partum si manifesta con diversi sintomi, che vanno dalla perdita di interesse alla mancanza di energie, fino al senso di colpa e ai disturbi d’ansia, e possono raggiungere anche estremi pericolosi come pensieri di morte e suicidi, eppure troppo spesso vengono taciuti dalle madri, che la società dipinge ancora come “per forza felici”. Ma, come spiega Bondi, i sintomi molto spesso “non sono transitori e possono persistere anche per molto tempo, con conseguenze più o meno dirette non solo sulla madre, ma anche sul bambino e sul suo sviluppo cognitivo“.

Diversi screening hanno infatti registrato una minor reattività e una minore risposta agli stimoli nei bambini con uba mamma depressa, rispetto a quelli che hanno una mamma che sta bene e si dedica completamente a lui.

La pillola contro la depressione potrebbe intervenire primariamente sulle cause biologiche, ovvero associate al crollo degli ormoni e, in particolare, dei livelli di progesterone. Continua Bondi: “Diversi studi statunitensi, tra cui uno pubblicato anche sull’American Journal of Medicine, hanno rilevato come questa pillola, un farmaco a base di ormoni, agisca molto più velocemente degli antidepressivi serotoninergici che si usano oggi nella depressione post partum: perché questi abbiano un effetto dobbiamo infatti aspettare dai 15 ai 20 giorni, mentre il nuovo farmaco è efficace già dopo tre giorni”.

La pillola dovrebbe essere assunta per via orale per due settimane, comodamente a casa propria, diversamente dal farmaco approvato nel 2019, con lo stesso principio attivo, che veniva però somministrato per via endovenosa, necessitando quindi di un ricovero di due o tre giorni.

Al di là dell’aspetto prettamente farmacologico, c’è anche un importante approccio psicologico da tenere presente quando si parla di DPP: “La cosa importante è non lasciare la neomamma da sola, anzi appoggiarla in modo che abbia qualcuno accanto a lei – spiega Bondi – Oggi, che i modelli sociali sono cambiati, spesso manca una rete familiare di aiuto e condivisione. Nei decenni passati, ad affrontare le prime settimane dopo il parto, le puerpere avevano accanto la propria madre, le zie, o sorelle … Insomma figure vicine che potevano consigliare e prendersi cura per qualche ora del bambino. Oggi invece, dopo il parto la mamma si ritrova improvvisamente a casa, spesso da sola, a dover gestire un bambino oltre ad avere il peso di tutte altre incombenze ordinarie. A partire dall’allattamento, ci si trova davanti ad una serie di cose sconosciute, a cui nessuno ti ha preparato. Arriva inoltre un forte senso di responsabilità accompagnato da un sentimento di inadeguatezza: si ha paura di sbagliare, e di essere una cattiva madre, non in grado di prendersi cura del figlio“.

Il monito finale è rivolto proprio a quella società ipermaternalista che non permette alle madri di chiedere aiuto laddove si sentano inadeguate al ruolo: “La società stessa deve smettere di identificare la depressione come un momento di malinconia passeggero. La depressione è una malattia e come tale va curata: se occorre quindi, mentre aspettiamo la pillola, ricorriamo piuttosto ai farmaci antidepressivi tradizionali”.

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