Kourtney Kardashian sul piccolo Rocky che "non è mai stato nella sua culla" (e due parole sul privilegio)

L'influencer ha raccontato che l'ultimogenito non ha mai fatto un pisolino nella culla. Ma, come spesso accade quando si parla di genitori, non è detto che ci sia una strada giusta e una sbagliata.

In una sessione di domande e risposte con i followers su Instagram, Kourtney Kardashian, da poco diventata mamma per la quarta volta del piccolo Rocky, avuto dal marito Travis Barker, ha fatto sapere che il bambino, da quando è nato, non ha mai dormito nella culla.

Rispondendo alla domanda di una neomamma che ha chiesto “Qualche consiglio su un bambino a cui piace essere tenuto in braccio solo per fare un pisolino?” Kardashian ha condiviso una foto della culla di Rocky, rispondendo “Goditi ogni secondo! Noi facciamo lo stesso. Non è mai stato nella sua culla. È la cosa che preferisco al mondo”.

Il mondo dei genitori si divide moltissimo sul tema dei pisolini a contatto, ma cosa dicono gli specialisti a riguardo?

L’AAP, l’American Academy of Pediatric, non è contraria a questo tipo di pisolini, ma ovviamente consiglia di farli solo se si è sicuri di essere svegli e vigili, così da potersi assicurare che il bimbo stia nella postura corretta, che abbia le vie aeree aperte e che non corra il rischio di cadere.

In generale, rispetto al cosleeping, il mondo pediatrico sembra preferire la condivisione della stanza rispetto a quella del letto, più che altro per ragioni di sicurezza, per evitare le morti in culla. Secondo l’AAP, infatti, il room sharing riduce il rischio di SIDS fino al 50%.

Al di là degli aspetti riguardanti la sicurezza, che sono ovviamente primari, ci sono poi quelli di natura psicologica, che riguardano il tipo di educazione che ogni genitore sceglie di impartire ai propri figli; sulla base delle esperienze soggettive ci sono quelli che vengono comunemente definiti bambini “ad alto contatto”, proprio perché cresciuti con uno stile di vita che comprende, fra le altre cose, l’allattamento a richiesta, l’essere portati in braccio o in fascia, e appunto la condivisione dello stesso letto.

Questa scelta ha l’intento di riconoscere e assecondare in pieno i bisogni del neonato, considerando tutte quelle che sono le sue richieste istintive; il primo a parlarne scientificamente è stato lo psicologo britannico John Bowlby, che nel secondo dopoguerra ha proposto la teoria dell’attachment parenting, analizzando l’importanza del legame che il neonato instaura nei primi mesi con le persone di famiglia, in primis la madre. La tesi principale è che un bambino cresciuto in queste condizioni diventerà un adulto più sicuro di sé e indipendente, che si fiderà delle prioprie capacità di comunicazione e del prossimo, perché ha trovato, nei primi anni di vita, la presenza costante di qualcuno. Con buona pace di chi sosteneva che tenere in braccio i bambini e non lasciarli piangere significasse viziarli.

La teoria di Bowlby è stata rimessa in discussione negli ultimi decenni, in primis dai pediatri William Sears e Carlos Gonzales, e contrapposta ad approcci basati sul rigore e sull’educazione precoce all’autonomia.

Come spesso accade, quando si tratta di genitorialità, una scelta unanimemente “giusta” non c’è, e le varie posizioni non devono essere stigmatizzate; le parole di Kourtney Kardashian sulla bellezza di fare un pisolino abbracciata al proprio bimbo non devono essere prese come un mantra indiscutibile e, quindi, far sentire in difetto chi, per un motivo o per l’altro, sceglie un’altra strada, così come non deve essere demonizzato il contrario.

Ci sono ragioni diverse per cui le madri non vogliono o non possono fare pisolini a contatto con i propri figli, e spesso, anche qualora li facciano, non provano la gioia incondizionata di cui parla Kardashian, e va bene così.

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