Quali sono le frasi tossiche che ogni genitore dice ai figli senza accorgersene

Una parental coach ha spiegato qual è l'approccio comunicativo migliore da adottare con i figli, sostituendo quelle frasi che molti di noi hanno normalizzato, ma che sono tossiche.

È esperienza comune tra i genitori sentirsi sopraffatti di fronte a un figlio che sembra non ascoltare. In tali momenti, l’istinto può spingere verso l’uso di urla, richiami o minacce come strumenti per ottenere obbedienza. Tuttavia, secondo Reem Raouda – imprenditrice e parental coach – il problema non risiede nei bambini, ma nel modo in cui ci si rivolge a loro.

Dopo aver analizzato oltre 200 dinamiche genitore-figlio, Raouda ha osservato che i genitori che incontrano meno resistenza non sono necessariamente più autoritari, ma utilizzano un linguaggio che promuove la cooperazione spontanea, evitando l’uso di minacce o premi. In un articolo pubblicato su CNBC, l’esperta ha illustrato alcune tra le frasi più dannose comunemente utilizzate dai genitori, proponendo valide alternative comunicative basate sul rispetto, l’empatia e la responsabilizzazione.

Una delle espressioni più frequenti, ma al contempo controproducenti, è: “Perché lo dico io“. Secondo Raouda, tale affermazione interrompe la comunicazione e insegna al bambino l’obbedienza cieca, a discapito della comprensione e dell’autonomia. Una proposta alternativa è: “So che non ti piace questa decisione. Te la spiego, poi andiamo avanti”.
In questo modo, il genitore mantiene autorevolezza, ma con rispetto, stimolando l’ascolto e la collaborazione, senza rinunciare al proprio ruolo guida.

Le principali espressioni tossiche da evitare – e cosa dire al loro posto

1. Dalle minacce alla responsabilizzazione
Frasi come: “Se non ascolti, perdi la TV” creano resistenza e attivano atteggiamenti oppositivi. Raouda consiglia di riformulare:
“Quando sarai pronto a fare questa cosa, potremo fare ciò che ti piace”.
Il messaggio rimane fermo, ma offre al bambino la possibilità di scegliere quando aderire alla regola, incoraggiando la responsabilità.

2. Non invalidare le emozioni
Espressioni come: “Basta piangere, non è niente” rischiano di negare i sentimenti del bambino, con effetti negativi sulla fiducia reciproca. Meglio dire: “Vedo che sei molto turbato. Raccontami cosa sta succedendo”.
Accogliere e validare le emozioni favorisce la connessione emotiva e crea un ambiente favorevole alla calma e alla cooperazione.

3. Sostituire la ripetizione con l’ascolto attivo
La classica: “Quante volte devo ripetertelo?” comunica frustrazione e può nascondere una difficoltà del bambino non ancora emersa. Un’alternativa più efficace è: “Te l’ho chiesto più volte. Aiutami a capire cosa lo rende difficile per te”.
Questa formulazione promuove la riflessione e apre uno spazio di dialogo, senza attribuire colpe.

4. Evitare il giudizio e favorire l’autoriflessione
Frasi come: “Questa cosa non si fa” possono generare vergogna e senso di inadeguatezza. Raouda propone invece: “C’è qualcosa che ti sta allontanando dal tuo lato migliore. Parliamone”.
Questo approccio incoraggia il bambino a confrontarsi con le proprie azioni in modo costruttivo, mantenendo intatta l’autostima.

Alla base di questo approccio comunicativo non vi è una formula rigida, ma un cambio di paradigma. L’obiettivo non è ottenere il controllo sul comportamento dei figli, bensì creare le condizioni per una cooperazione naturale e duratura.

Come sottolinea la parental coach “I bambini collaborano quando si sentono rispettati, emotivamente al sicuro e coinvolti”.

Le parole, in questo contesto, rappresentano solo la parte visibile di un atteggiamento più profondo: quello di un genitore che guida con empatia, fermezza e presenza consapevole. Ridurre le punizioni e incrementare l’ascolto non significa cedere, ma costruire relazioni fondate sulla fiducia e capaci di affrontare le sfide dell’infanzia e dell’adolescenza.

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