Cosa prevede il nuovo ddl su mantenimento e affido, perché è stato contestato e la replica

Secondo la proposta di legge i bambini di genitori separati dovrebbero avere un doppio domicilio e verrebbe introdotto il pagamento delle spese di gravidanza e parto. Ma ci sono state delle polemiche, a cui ha chiesto di rispondere uno degli ideatori della proposta.

*** Aggiornamento***

Dopo l’uscita dell’articolo originale, pubblicato il 18 aprile, abbiamo ricevuto una richiesta di replica da parte del dottor Marino Maglietta, docente di Diritto della famiglia e professore associato di Fisica dello stato solido presso l’Università di Firenze, fondatore e attuale presidente dell’associazione nazionale Crescere Insieme, ideatore dell’affidamento condiviso dei figli ed estensore dei testi base considerati nelle varie legislature, che hanno condotto alla legge 54/2006, oltre che della versione aggiornata dell’affidamento condiviso dei figli ed estensore dei testi base, quindi anche del ddl 832 oggetto proprio dell’articolo originale, di seguito riportato.

È quindi nostro dovere offrire al dottor Maglietta l’opportunità di ribattere alle affermazioni contenute nell’articolo e alle contestazioni sollevate da varie associazioni nonché dalla Garante per l’infanzia Marina Terragni.

Articolo originale del 18/04/2025

Fratelli d’Italia ha presentato al Senato un testo che riscriverebbe il diritto all’affido, ma che da molti è stato contestato poiché ritenuto un prolungamento del ddl Pillon del 2018, bloccato all’epoca da giuristi e Onu.

La legge vorrebbe riscrivere il diritto all’affido, introducendo l’obbligo di un doppio domicilio e facendo sparire l’obbligo di mantenimento in favore di quello di pagamento per le spese di gravidanza. Misure che, per Differenza Donna, riecheggerebbero il passato, “come quelle del periodo fascista, dove la tutela economica era concessa solo in funzione della maternità”.

Nel frattempo, sono partite in commissione Giustizia le audizioni sul disegno di legge 832 a prima firma del senatore Alberto Balboni di Fratelli d’Italia che modifica l’istituto, che elimina il concetto di “residenza abituale” prevedendo, come detto, l’obbligo che il bambino viva in due domicili, quello del padre e quello della madre, con identici tempi di permanenza.

Il giudice non adotterebbe quindi più provvedimenti “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale dei figli”, una soluzione ribattezzata dalle associazioni ddl Salomone, prendendo spunto dalla storia biblica in cui il re propone di tagliare in due un bambino conteso da due donne.

Il testo, composto da 18 articoli e presentato con una corsia accelerata che prevede l’arrivo in Aula blindato, parte dal presupposto che in Italia il concetto di “bigenitorialità” in caso di separazione non venga rispettato; tuttavia, secondo Differenza Donna la risposta proposta “ignora la complessità delle relazioni familiari in un Paese che non investe in politiche sociali”.

L’avvocata Teresa Manente, profonda conoscitrice del diritto in tema di violenza contro le donne, a Domani ha definito il testo “una trappola” che “Propone una ripartizione matematica al 50% del tempo tra i genitori nei casi di separazione e divorzio, imponendo una spartizione geometrica dei figli, per di più sanzionata penalmente ove non si riesca a rispettarla. Qualcosa che ignora la realtà delle relazioni familiari, dove l’affettività, la cura e la responsabilità non possono essere ridotte a simmetria di tempi. Il testo introduce anche l’obbligo di doppio domicilio e cancella l’istituto dell’assegnazione della casa familiare, eliminando così il diritto del minore a una continuità abitativa stabile e creando un contesto che presuppone famiglie con due case vicine, una soluzione che non è accessibile alla maggior parte delle persone”.

Come detto, a sparire sarebbe anche l’obbligo di mantenimento dei figli sulla base delle capacità economiche, nonostante i dati Istat continuino a indicare le madri come i soggetti più deboli dal punto di vista economico; sarebbe inoltre introdotto l’obbligo di ricorrere alla mediazione familiare e alla coordinazione genitoriale, anche nei casi in cui siano presenti episodi di violenza o forti conflitti, esponendo, di fatto, donne e figli a forme diverse di controllo e a una vera e propria vittimizzazione istituzionale.

Tuttavia, sottolinea Manente, l’aspetto peggiore riguarda la parte del pagamento delle spese di gravidanza e parto per i padri non coniugati, che potrebbe “riportare le donne in una condizione di dipendenza economica e limitando la loro autodeterminazione sulla gravidanza”. In sostanza, sostiene l’avvocata, se il padre non coniugato ha obblighi di natura economica, allora potrebbe anche avanzare dei diritti sulla gravidanza, ad esempio imponendo la propria volontà di essere padri, anche contro il desiderio della madre. In poche parole, verrebbe legittimato il pensiero che la gravidanza non appartenga più alla donna.

In aggiunta a ciò, il fatto che il mantenimento sia proposto solo in fase di gravidanza e non in quella di separazione, secondo le associazioni, ricorda le misure del periodo fascista, quando la tutela economica era concessa solo in funzione della maternità. “Un disegno di legge che mira a dare poteri al padre a prescindere dalla reale partecipazione alla vita e cura dei padri”, conclude Manente.

Critiche sono arrivate dalla Garante per l’infanzia, Marina Terragni, vicina a FdI, che afferma “Il rischio è che prevalga una prospettiva di tipo adultocentrico”, mentre la senatrice Anna Rossomando (Pd) vede “Una riedizione di quella che è stata la proposta del senatore Pillon. La rivendicazione di un affido paritario fa pensare alla spartizione di un oggetto. Mi lascia perplessa anche il fatto che questo ddl ignori il lavoro realizzato in Parlamento nel 2022 in tema di diritto di famiglia. Proprio in quella occasione si affrontò una discussione sul procedimento di separazione tra i coniugi, dove bisognava tenere conto delle violenze familiari, evitando anche il parallelismo, cioè il fatto che processo civile e penale non si parlino. Un percorso è stato rimosso. L’ennesima prova di un governo che sulla giustizia tende a fare passi indietro di 20 anni”.

La replica che ci ha fatto arrivare il professor Marino Maglietta

Quando in una facoltà scientifica chiamavo alla lavagna una studentessa sapevo che mi sarei riposato, perché tipicamente era meglio preparata dei suoi colleghi maschi. Eppure i dati STEM documentano che alla fine le allieve sarebbero state penalizzate, e drasticamente, benché più brave. È anche noto che che la donna va in pensione prima dell’uomo perché gravata prevalentemente dei compiti di cura
dei figli, accanto agli impegni di lavoro esterno.

L’affidamento condiviso, pertanto, fu pensato e scritto anzitutto per far fruire ai figli di genitori separati del pieno apporto educativo e affettivo di padri e madri, ma al contempo sollevare queste ultime da una condizione pesantemente e ingiustamente penalizzante.
Con queste premesse non deve stupire se l’affidamento condiviso ricevette la solidarietà e il sostegno dell’Associazione Donne Separate; e nemmeno che l’associazione alla quale appartengo, Crescere Insieme – cui si deve l’idea della bigenitorialità e la stesura del relativo testo base – si trovò nel 1996 a volantinare ad Agrigento fianco a fianco di quel gruppo.

E se divenne legge soltanto nel 2006 fu a causa dell’ostilità preconcetta di soggetti che anche allora si autoqualificavano come progressisti e dichiaravano di operare “a difesa delle donne”.
A quanto pare, la storia sembra ripetersi. La legge 54/2006 è stata ignorata nell’applicazione, che ha mantenuto il modello a genitore prevalente a dispetto delle norme in vigore. Di qui il ddl 832 che la riscrive in forma non eludibile, sottolineando che un rapporto è equilibrato anzitutto se è paritetico (ovviamente con tutte le eccezioni del caso, dalla distanza all’allattamento): ovvero ha una priorità
“tendenziale”, come oggi afferma la stessa Cassazione. (26697/2023). Di qui una lunghissima serie di proposte della medesima matrice a iniziare dal 2007.

Pertanto il ddl 735 (Pillon), arrivato nel 2018 e di tutt’altra origine e contenuti, contestato in dottrina da chi scrive, non è certo la fonte del ddl 832.
E già di qui si vede che un conto è il dissenso, altra cosa la disinformazione.
Idem per le altre affermazioni denigratorie contenute nelle interviste. La replica più convincente è nel mettere accanto alle più gravi e tendenziose il testo del ddl, eloquente da solo. È stato detto che: “cancella l’istituto dell’assegnazione della casa familiare”, la cui disciplina resta invece immutata; sparisce “l’obbligo di mantenimento dei figli sulla base delle capacità economiche” quando invece si legge “Salvo accordi diversi delle parti, ciascuno dei genitori provvede in forma diretta e per capitoli di spesa al mantenimento dei figli in misura proporzionale alle proprie risorse economiche.

Le modalità e i capitoli di spesa sono proposti dai genitori al giudice che ne valuta la congruità; in caso di disaccordo decide il giudice. Quale contributo diretto il giudice valuta anche la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore, previa eventuale compensazione. Se necessario a rispettare il suddetto principio di proporzionalità il giudice può stabilire la corresponsione di un assegno perequativo periodico.”; esiste “l’obbligo di ricorrere alla mediazione familiare e alla coordinazione genitoriale, anche nei casi in cui siano
presenti episodi di violenza o forti conflitti”, quando invece (art. 13) “le parti hanno l’obbligo, prima di adire il giudice e salvi i casi di urgenza o di grave e imminente pregiudizio per i minori, di rivolgersi a un organismo di mediazione familiare, pubblico o privato, o a un mediatore familiare libero professionista per acquisire informazioni sull’opportunità di un eventuale percorso di mediazione familiare. Il primo incontro è in ogni caso gratuito e può svolgersi anche individualmente a richiesta anche di una sola delle parti. Se una delle parti non ottempera, il
procedimento si avvia ugualmente per l’iniziativa dell’altra”.

Si è, pertanto, anche coperti dal rischio di violenza, perché si può andare da soli. E gratuitamente. Quanto all’idea che responsabilizzare i futuri padri sia idea fascista (art. 4: “Se i genitori non sono coniugati e non convivono, il padre è tenuto a condividere con la madre ogni spesa relativa al parto, … , in misura proporzionale alle risorse economiche di ciascuno e a provvedere al mantenimento di lei per un periodo di tre mesi nel caso in cui non sia provvista di sufficienti risorse economiche. Tali contributi spettano alla madre anche nel caso di un parto in cui il nascituro muore”.) seguita da “Se i genitori non sono coniugati e non formano più una coppia, nel caso in cui uno dei due manchi di mezzi per la propria sussistenza l’altro è tenuto a contribuirvi, tenuto conto delle sue personali risorse, per un tempo massimo di due anni, ovvero fino al compimento del terzo anno di età del figlio minore se tale durata è superiore ad anni due” è tesi da lasciare a chi l’ha concepita.

Per completezza di informazioni riportiamo anche il link a cui può essere visionato il testo integrale del ddl 832.

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