Dal 2012 i papà possono prendere un congedo di paternità, che negli anni è passato da un solo giorno obbligatorio più due facoltativi, ai 10 giorni obbligatori attuali, più uno facoltativo, fruibili da due mesi prima della data presunta del parto, fino ai 5 mesi successivi. Sebbene in quasi dieci anni, dal 2013 al 2022, le cose siano migliorate, non tutti i neo papà però ne usufruiscono: tante ancora le differenze nell’utilizzo del congedo, che cambia a seconda dell’età, del contratto di lavoro e della dimensione aziendale, ma anche dal reddito e dal luogo di residenza.

Come dicevamo, in quasi dieci anni, gli uomini che fruiscono del congedo di paternità sono passati da poco meno di un padre su cinque, nel 2013, a tre su cinque nove anni dopo. Numeri triplicati, quindi, ma che nascondono parecchie differenze tra chi utilizza il periodo di astensione dal lavoro e chi no. A tracciare un identikit dei papà che prendono il congedo, ci ha pensato Save the Children: l’associazione ha elaborato i nuovi dati Inps e li ha diffusi oggi, in occasione della Festa del Papà, per dimostrare che “Nonostante esiste ancora uno squilibrio di genere tra i due genitori nella cura dei figli, qualcosa nel mondo della paternità e lavoro si muove, e anche in maniera costante”.

Da questo lavoro emerge che gli uomini che fruiscono del congedo di paternità sono compresi nella fascia di età tra i 30 e i 49 anni, vivono prevalentemente al Nord Italia, lavorano in imprese di media-grande dimensione con un contratto di lavoro stabile e hanno un reddito medio-alto. Come emerge dell’indagine, quindi, è più elevato il numero di padri che ne usufruisce nelle province del Nord e più basso in quelle del Mezzogiorno. Sebbene, infatti, l’aumento nell’utilizzo si registri in tutta Italia, ci sono alcune differenze territoriali con valori di fruizione inferiori al 30%, come nelle province di Crotone (24%), Trapani (27%), Agrigento e Vibo Valentia (29% in entrambe le province), mentre valori superiori all’80% (i più elevati), si registrano nelle province di Bergamo e Lecco (81% in entrambi i casi), Treviso (82%), Vicenza (83%) e Pordenone (85%).

Nella fruizione, forti disuguaglianze anche tra le diverse tipologie contrattuali: tra i lavoratori con un contratto a tempo indeterminato la percentuale sfiora il 70% (69,49%), tra quelli con contratto a tempo determinato scende al 35,95%, mentre tra gli stagionali arriva solo al 19,72%. Per le fasce di reddito, invece, l’utilizzo del congedo di paternità è più diffuso tra chi ha un reddito compreso fra i 15mila e i 28mila euro (73,3%) e fra quelli con reddito superiore a 28mila euro e inferiore a 50mila (85,68%). La correlazione positiva tra reddito e utilizzo del congedo di paternità, però, si interrompe a partire dai redditi di 50mila euro (tra chi ha un reddito superiore a questo importo ne usufruisce il 78,63%).

L’elaborazione dei dati INPS, per Save the Childre, dimostra quanto sia “Sempre più importante promuovere la condivisione delle responsabilità genitoriali tra madri e padri, per una maternità che non sia più di ostacolo all’accesso delle donne nel mondo del lavoro. Per questo, sono necessarie delle politiche che favoriscano l’equa distribuzione dei carichi di cura in famiglia. Approfondisci le novità sulla Paternità e lavoro: diritti e tutele dei papà”.

Giorgia D’Errico, Direttrice Affari pubblici e Relazioni istituzionali di Save the Children, ha infine ribadito quanto sia “Necessario sostenere questo cambiamento, andare nella direzione di un congedo di paternità per tutti i lavoratori, non solo i dipendenti, garantendo che i datori di lavoro adempiano all’obbligo di riconoscere tale diritto, e fino ad arrivare all’equiparazione con il congedo obbligatorio di maternità. Una misura, questa, anche a sostegno delle neomamme, in un periodo della vita che troppo spesso si rileva difficile e caratterizzato da sentimenti di inadeguatezza e solitudine”.

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