Un 40enne e una 38enne hanno dato alla luce una bambina che non sapevano di aspettare, ma purtroppo la piccola non ce l'ha fatta. Partorire senza s...
La foto è stata scattata in una piccola cittadina sulla costa pacifica del Messico da un passante, Eloy Pacheco Lopez, che si trovava sul posto al momento del parto, e ritrae una donna che, carponi e dolorante, ha appena messo al mondo, da sola, in un giardino, suo figlio ancora legato a lei dal cordone ombelicale. L’ha pubblicata il quotidiano messicano La Razòn e, ora che è stata diffusa sui social network, ha fatto rapidamente il giro del mondo provocando lo sdegno della gente.
È il 2 ottobre. Irma Lopez Aurelio ha 28 anni ed è un’indigena di etnia mazateca. Alle 5 del mattino, in preda alle doglie, si mette in cammino col marito mano nella mano sulla strada buia per raggiungere l’ospedale San Felipe Jalapa de Dìaz, nella cittadina di Oaxaca. Quando arriva, alle 6, un’infermiera alla reception le dice che non può accettarla perché non ci sono i medici. Per lei non ci sono nè barella e nè ambulanza: quindi, se la partoriente vuole essere ricoverata presso un’altra struttura, deve raggiungerla a piedi. Irma decide allora di attendere che si facciano le 8 e che al San Felipe arrivi il personale medico, ma la stessa infermiera le ordina di uscire dall’ospedale per aspettare in giardino.
Ma le 8 sono lunghe da venire, tanto che alle 7:30 Irma partorisce da sola un bambino di 2 chili e 400 grammi. Ma la sua odissea non è ancora terminata. Il personale dell’ospedale accetta finalmente di prenderla in cura, a condizione, però, che sia il marito a comprare i medicamenti necessari (garza, disinfettante, siringhe e quant’altro). Il trattamento non va oltre ciò, a meno che non vengano pagati 1500 pesos per il posto letto. Per Irma solamente un certificato medico rilasciato da un medico che neanche aveva visto la donna e il bambino.
Nei giorni seguenti il parto, quando sui media messicani esplode il caso e i riflettori si accendono sul San Felipe, Irma è stata contattata dal personale dell’ospedale, che le intimava di non parlare della sua storia. “Mi minacciano: dicono che mi fanno togliere l’assegno sociale che percepisco – racconta -. Ma io non ho paura e racconterò la mia storia a chiunque me lo chieda“.
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