Le informazioni ISTAT raccolte sui temi della gravidanza, del parto e dell’allattamento al seno si riferiscono all’ultimo figlio che le donne hanno avuto nei cinque anni precedenti la rilevazione e riguardano 2 milioni e 736mila donne. I risultati dell’indagine mostrano che le donne in Italia godono di un buon livello di assistenza in gravidanza; la maggior parte di esse si sottopone, infatti, a visite ed accertamenti nei primi mesi di gestazione ed è stata informata sulle tecniche di diagnosi prenatale.

Rispetto al 1999-2000, aumenta tuttavia la medicalizzazione della gravidanza: la percentuale di donne che ha fatto 7 o più ecografie durante la gestazione passa dal 23,8% al 29,0% e quella che ha effettuato 7 o più visite passa dal 52,7% al 56,4%. Continua ad aumentare il ricorso al taglio cesareo: la media nazionale stimata per i cinque anni precedenti la rilevazione passa dal 29,9% nel 1999-2000 al 35,2% nel 2004-2005 raggiungendo livelli particolarmente elevati nel Sud (45,4%). Tra le donne che hanno avuto un parto naturale è molto alta la presenza dei padri al momento del parto nel Nord-Ovest (87,8%) e nel Nord-Est (83,9%). Permane lo svantaggio nel Sud e nelle Isole, dove solo il 31,1% ed il 47,1% delle donne ha avuto vicino il proprio partner al momento del parto. Si mantiene stabile, rispetto al 1999-2000, la quota di donne che ha allattato al seno il proprio bambino (81,1%). Cresce invece la durata media dell’allattamento al seno che passa da 6,2 a 7,3 mesi.

Migliora l’assistenza in gravidanza

Le donne in Italia godono di un buon livello di assistenza in gravidanza. Infatti, come raccomandato dai protocolli, la maggior parte delle donne si sottopone a visite ed accertamenti nei primi mesi di gestazione ed è stata informata sulle tecniche di diagnosi prenatale. Rispetto al 1999-2000 le donne che hanno effettuato la prima ecografia entro il terzo mese di gestazione aumentano dall’84,5% all’87,0% e si mantiene elevata la quota di donne che ha effettuato la prima visita entro il terzo mese di gravidanza (94,3%). Cresce la percentuale di donne che sono state informate circa la possibilità della diagnosi prenatale (dall’83,3% nel 1999-2000 all’attuale 86,8%) e la quota di quante vi fanno ricorso (88,0% rispetto all’84,9% del 1999-2000). Tuttavia sono ancora molte le donne che non sono state informate sulla possibilità di sapere di eventuali malattie del feto mediante la diagnosi prenatale (13,2%).

A fronte di un complessivo miglioramento del livello di assistenza, permane uno svantaggio per le donne giovani, per quelle con un basso livello di istruzione e per quelle che vivono nel Sud e nelle Isole tra le quali si osservano le quote più basse per i principali indicatori di assistenza in gravidanza. Si sottopongono alla prima ecografia entro il terzo mese di gestazione il 75,6% delle donne che non hanno alcun titolo di studio o hanno conseguito al massimo la licenza elementare (contro il 90,7% delle laureate), l’80,7% delle donne che hanno avuto figli a meno di 25 anni a fronte dell’89,6% delle donne che hanno figli tra i 35 e i 39 anni e rispettivamente l’83,6% e l’84,9% di quelle residenti nell’Italia meridionale e insulare contro circa il 90% del Nord (Tavola 2). Sono questi stessi segmenti di donne ad effettuare le visite mediche più tardivamente. Si sono sottoposte a visita medica entro il terzo mese solo l’87,3% delle donne più giovani, l’88% di quelle con titolo di studio più basso e circa il 90,3% delle donne residenti nel Sud e nelle isole. Al contrario, tra le donne con titolo di studio alto (diploma-laurea), tra quelle di 35 anni e più al momento del parto e tra le donne residenti nel Nord la percentuale di quante hanno fatto la prima visita medica entro il terzo mese di gestazione supera il 95%.

Anche l’informazione sulla diagnosi prenatale è strettamente associata a età, livello di istruzione e zona di residenza: è infatti nettamente più alta tra le donne laureate (96,2%) di quanto non sia tra le madri con la licenza elementare (65,9%) e aumenta al crescere dell’età al parto passando dal 74,0% fra le donne che hanno avuto figli prima dei 25 anni a oltre il 90% fra quante hanno partorito a 35 anni e più. Il numero delle donne informate è più basso nel Sud (80,0%) e nelle Isole (82,7%). Ricorre a tecniche di diagnosi prenatale il 93,4% delle laureate contro il 79,7% delle donne che non hanno alcun titolo di studio o al massimo hanno conseguito la licenza elementare. Si deve tuttavia tenere conto del fatto che le donne con un basso livello di istruzione potrebbero non avere riferito il ricorso a questo tipo di accertamenti perché non conoscono l’esatta denominazione di esami comunque effettuati, escludendo naturalmente il caso di esami invasivi quali la villocentesi e l’amniocentesi.

Aumenta la medicalizzazione della gravidanza

Dai dati relativi al numero dei controlli eseguiti sembra emergere un ulteriore incremento del fenomeno di medicalizzazione della gravidanza e di sovrautilizzazione delle prestazioni diagnostiche già osservato nel 1999-2000.

Mentre il protocollo nazionale raccomanda al massimo tre ecografie in caso di gravidanze fisiologiche, ben il 78,8% delle donne ha fatto oltre 3 ecografie con un ulteriore incremento rispetto al dato già elevato del 1999-2000 (75,3%). Aumenta anche la percentuale di donne che ha fatto 7 o più ecografie (dal 23,8% nel 1999-2000 al 29,0% nel 2004-2005). Sono soprattutto le donne seguite da ginecologi privati inclusi quelli che lavorano anche in ospedale a fare più di 3 ecografie nel corso della gravidanza (rispettivamente 81,7% e 81,0%).

Molto elevato è il numero di donne che si sottopone a più di 6 ecografie nel Sud e nelle Isole
Sono soprattutto le donne seguite da ginecologi privati inclusi quelli che lavorano anche in ospedale a fare più di 3 ecografie nel corso della gravidanza (rispettivamente 81,7% e 81,0%). Molto elevato è il numero di donne che si sottopone a più di 6 ecografie nel Sud e nelle Isole (rispettivamente 32,4% e 34,4%).

La distanza tra quanto raccomandato dai protocolli nazionali e la media osservata non é certamente spiegata dalla piccola quota di gravidanze con disturbi gravi (22,7%). Il dato infatti è elevato non solo per le donne che hanno avuto gravidanze difficili, ma anche per quante hanno vissuto una gravidanza fisiologica. Infatti chi ha avuto disturbi gravi durante la gestazione ha un numero medio di ecografie effettuate (6,2) non molto diverso da quello medio complessivo (5,5) ed analogamente un numero medio di visite di poco superiore alla media (8 contro 7).

Anche la percentuale di donne che ha effettuato 7 o più visite aumenta dal 52,7% nel 1999-2000 al 56,5%. Più frequentemente si sottopongono a 7 o più visite le donne che si rivolgono al ginecologo privato (60,1%) o privato che lavora anche in ospedale (58,2%). Il numero medio di visite mediche durante la gravidanza è stato pari a 7, più alto tra le donne con titolo di studio più elevato (laurea e diploma rispettivamente 7,4 e 7,1) e più basso tra le donne con licenza elementare o nessun titolo di studio (6,2).

Aumenta il ricorso al parto cesareo ma le donne preferirebbero il parto naturale

L’Italia è il paese con il più alto numero di parti con taglio cesareo dell’Unione Europea: la percentuale è pari al 36,9% nel 2003*, oltre il doppio della quota massima del 15% raccomandata nel 1985 dall’OMS.
È evidente lo stacco rispetto ai paesi dell’Unione Europea il cui tasso medio di cesarei è pari al 23,7% (Grafico 2). Anche Stati Uniti e Canada hanno percentuali di parti cesarei nettamente più basse dell’Italia (rispettivamente 27,5% e 21,2%).
Grafico 2 Percentuale di parti con taglio cesareo nei Paesi dell’Unione Europea, negli Stati Uniti e in Canada – 1999- 2003

Fonti: Per l’Italia “Ministero della salute – Schede di dimissione ospedaliera 2003”; Per i Paesi europei “European health for all database” dell’Organizzazione mondiale della sanità; Per il Canada “Canadian Institute for health information”; Per gli USA “Department of health and human services”
I risultati dell’indagine confermano l’incremento della medicalizzazione del parto: la media nazionale stimata per i cinque anni precedenti la rilevazione passa dal 29,9% nel 1999-2000 al 35,2% nel 2004-2005.

La quota di cesarei, pur aumentando in modo generalizzato su tutto il territorio, raggiunge livelli particolarmente elevati nell’Italia meridionale (dal 34,8% al 45,4%) e insulare (dal 35,8% al 40,8%). Tra le donne che hanno figli in età avanzata il tasso di cesarei è più alto; tuttavia esso si attesta, anche per le donne con meno di 25 anni, intorno al 32,9% ed è quindi molto più alto della percentuale massima indicata dall’OMS.

Si osserva, come prevedibile, una forte associazione tra i disturbi più gravi che si possono verificare in gravidanza ed il ricorso al taglio cesareo (43,3%), in particolare per le donne con gestosi (59,1%) o che hanno sofferto di ipertensione in gravidanza (56,8%). Tenendo conto della bassa diffusione di queste patologie, l’alto livello di parti cesarei rimane comunque un segnale di eccessiva medicalizzazione.

L’incidenza di parti cesarei è particolarmente alta nelle strutture private, dove si raggiunge una percentuale del 56,9%, superiore di oltre 23 punti percentuali a quella, anch’essa elevata, che si rileva nelle strutture pubbliche (33,3%).

I corsi di preparazione al parto rappresentano uno dei fattori di protezione rispetto alla possibilità di avere un taglio cesareo, in parte perché le donne che li seguono sono già un gruppo selezionato caratterizzato da un maggiore orientamento alla demedicalizzazione, ma anche perché accrescono la capacità delle donne di partecipare alle decisioni da prendere al momento del parto. Infatti, ha avuto un parto cesareo solo il 27,6% delle donne che hanno frequentato un corso di preparazione al parto per l’ultima o per una precedente gravidanza, contro il 41,5% di quante non hanno partecipato ad alcun corso di preparazione. Tra le donne che hanno avuto figli negli ultimi cinque anni ricorrendo al cesareo, la quota dei cesarei programmati è pari al 62,6% contro il 37,4% di quelli non programmati. E’ nel Sud (72,6%), tra le donne che sono seguite da un ginecologo privato (65,3%) o che partoriscono in strutture private (82,8%), che più spesso il parto con taglio cesareo è programmato. Come prevedibile la quota dei cesarei programmati aumenta al crescere dell’età al parto e per le donne che hanno avuto disturbi gravi in gravidanza ma questi fattori non sono sufficienti a spiegarne l’ampio ricorso. Tra le donne che hanno avuto più di un figlio, il 35,8% ha fatto ricorso al cesareo. Se si considerano solo quelle che avevano avuto un parto cesareo per il figlio precedente, nel 94,2% dei casi il taglio cesareo si ripete. Le donne preferiscono nettamente partorire in modo spontaneo (87,7%). Tra quante hanno avuto un parto spontaneo con o senza anestesia solo il 5% avrebbe preferito fare un cesareo se avesse potuto scegliere. Netta la preferenza per il parto naturale anche fra le donne che hanno avuto un taglio cesareo (75,0%).

La partecipazione ai corsi di preparazione al parto è stabile: il Sud però rimane indietro per indisponibilità delle strutture. L’importanza della preparazione al parto é ampiamente sottolineata dalle ricerche condotte in quanto associata ad una riduzione degli esiti negativi per la salute della madre e del bambino. I corsi rappresentano un’importante occasione di partecipazione attiva delle donne e degli uomini in attesa di un figlio. La quota di donne che ha frequentato un corso per l’ultima gravidanza è pari al 30,9% e sale al 45,5% se si considerano anche le donne che hanno partecipato ad un corso di preparazione al parto per una precedente gravidanza. I dati sono stabili se confrontati con il 1999-2000 (rispettivamente 29,7% e 45,3%). Le differenze a livello territoriale sono molto marcate: mentre nel Nord Italia e nel Centro le donne che frequentano corsi di preparazione al parto sono circa il 40%, nell’Italia meridionale e nelle Isole sono rispettivamente il 12,7% e il 14,9% delle donne. Il divario tra Nord e Sud è ancora più rilevante se si considera anche la quota di donne che ha dichiarato di non aver frequentato un corso di preparazione per la gravidanza dell’ultimo figlio ma di aver partecipato ad un corso per una precedente gravidanza: complessivamente per le aree settentrionali del paese si rileva una quota di circa il 64% a fronte di poco più del 20% nel Sud e nell’Italia insulare (Tavola 4). Anche nei corsi di preparazione al parto i comportamenti sono influenzati dal livello di istruzione: i corsi sono più frequentati dalle donne laureate (65,6%), meno da chi ha la licenza media (34,2%) e solo da una piccola quota dalle donne che non hanno conseguito alcun titolo di studio o la sola licenza elementare (20,2%). Analogamente a quanto rilevato nel 1999-2000, tra le donne che hanno frequentato il corso di preparazione al parto quasi la metà vi ha partecipato con il proprio partner (49,3%). La presenza dei futuri padri è maggioritaria nel Nord-ovest (56,2%), mentre le quote più basse di partecipazione si evidenziano nelle Isole (33,5%) e nel Sud (38,9%). Fra le donne che hanno avuto un parto naturale la presenza del padre del bambino al momento della nascita si mantiene stabile (66,1%) rispetto al 1999-2000. Il dato è positivo se si considera che il sostegno e la presenza di familiari o amici al momento del parto sono raccomandati sia nelle linee guida dell’OMS che in quelle nazionali.

Permane tuttavia un netto svantaggio delle donne del Sud: il padre è presente nella quasi totalità dei casi nel Nord-Ovest (87,8%), nel 83,9% dei casi nel Nord-Est, nel 68,9% al Centro mentre solo il 31,1% delle donne residenti nel Sud ed il 47,1% nelle Isole ha avuto vicino il futuro padre nel momento del parto.
Tavola 5 – Donne che hanno partorito nei cinque anni precedenti l’intervista, per motivi di mancata partecipazione ad un corso di preparazione al parto, presenza di qualcuno al momento del parto, motivi mancata presenza altre persone al momento del parto e ripartizione geografica – Dati provvisori 2004-2005(per 100 donne della stessa ripartizione geografica).

Il minore livello di partecipazione delle donne e dei loro partner ai corsi di preparazione alla nascita e la presenza meno consistente dei padri al momento del parto nell’Italia meridionale ed insulare sono, almeno in parte, da attribuire ad una meno elevata offerta di servizi ed una minore disponibilità da parte delle strutture sanitarie del territorio.

Tra quante non hanno mai partecipato a corsi di preparazione al parto (54,5%), il 16,8% delle donne non ha potuto usufruire di questa opportunità perché non esisteva una struttura disponibile o vicina all’abitazione. La quota è molto più alta nel Sud (23,4%) e nelle Isole (21,8%) di quanto non sia nelle altre aree territoriali ed in particolare nel Nord-ovest (5,9%). Mentre nel Centro sono solo il 3% le donne che non conoscevano l’esistenza dei corsi di preparazione al momento della gravidanza, la quota sfiora il 10% nel Sud e nelle Isole (Tavola 5). Sono ben il 31,4% le donne che riferiscono di non aver partecipato a corsi di preparazione alla nascita perché non li ritenevano utili, il 23,9% per problemi di tempo mentre il 16,0% non ha frequentato corsi perché era già previsto che facesse un cesareo oppure perché costretta a rimanere a letto durante la gestazione.

Nel Sud oltre il 50% delle donne che hanno partorito in modo naturale non ha avuto nessuno vicino al momento della nascita del bambino. La quota è molto elevata anche nelle Isole (40,6%), mentre è di circa il 10% nel Nord e del 20% nel Centro Italia. Sono soprattutto le strutture che non consentono alle madri del Sud e delle Isole di avere vicino il partner o un’altra persona. Infatti ben il 45,9% delle donne nell’Italia meridionale ed il 42,8% in quella insulare dichiarano di essere state sole al momento del parto perché la struttura non permetteva la presenza di altre persone.

Sono molte meno le donne del Nord che, pur non avendo un taglio cesareo, si trovano sole al momento della nascita dei loro bambini (13,6% nel Nord-est e 17,5% nel Nord-ovest). Una conferma in più della minore capacità delle strutture sanitarie nel Sud ad accogliere una richiesta sempre più diffusa da parte delle donne e che è diventata quasi una routine in altre parti del Paese.

Allattamento al seno: cresce la durata

L’importanza dell’allattamento al seno per la salute del bambino e della mamma è ampiamente evidenziata in numerose ricerche epidemiologiche. Si mantiene stabile, rispetto al 1999-2000, la quota di donne che ha allattato al seno il proprio bambino, che è pari all’81,1% delle donne che hanno avuto figli nei cinque anni precedenti la rilevazione.

Cresce invece la durata media del periodo di allattamento da 6,2 mesi nel 1999-2000 a 7,3 mesi. Il 65,4% delle donne ha avuto almeno un periodo nel quale ha allattato il figlio in modo esclusivo o predominante, vale a dire solo con latte materno senza aggiungere latte artificiale o di origine animale o cibi solidi o semisolidi. L’Italia insulare, soprattutto per effetto della Sicilia (come risultava in modo evidente nell’indagine condotta nel 1999-2000), si distingue per la più bassa percentuale di donne che allatta (74,2%). Anche la durata dell’allattamento è minore: solo il 26,6% delle donne di questa area territoriale allatta per più di sei mesi. Nel Nord-est, al contrario, si riscontrano le quote più elevate di donne che allattano al seno i loro bambini (86,1%) e che lo fanno per sette mesi o più (36,8%). La stessa distribuzione territoriale si osserva per l’allattamento esclusivo o predominante: solo poco più della metà delle donne dell’Italia insulare ha un periodo in cui allatta solo con latte materno (53,5%) contro il 73,8% delle donne nel Nord-est.

Il livello di istruzione influisce sensibilmente sulla pratica dell’allattamento al seno: allattano di più le donne che hanno un titolo di studio più alto (86,4%) e la quota tra le meno istruite è invece sensibilmente più bassa della media (76,1%). Lo stesso andamento si osserva per il livello di diffusione dell’allattamento esclusivo o predominante che raggiunge il 71,2% tra le donne più istruite contro il 53,2% tra le donne con la sola licenza elementare.

Secondo l’OMS, provare ad attaccare al seno il bambino subito dopo il parto è un importante fattore per favorire l’allattamento al seno. Sono il 48,4% le donne in Italia che hanno avuto questa possibilità con rilevanti differenze territoriali: solo il 38,3% ha potuto farlo nel Sud mentre questa pratica è molto più diffusa nel Nord-est (59,9%).

Tra quante hanno avuto la possibilità di tentare l’allattamento dei loro bambini subito dopo il parto, sono di più le donne che allattano al seno (84,3%), quelle che hanno un periodo di allattamento esclusivo o predominante (70,2%) ed è maggiore la percentuale di quante allattano oltre i sei mesi (34,5%) (Tavola 8). Allattano meno le donne che hanno avuto un parto cesareo (75,9% contro 83,9%) o un parto pretermine (65,7% contro 82,4%) anche perché in questi casi più difficilmente si verificano le condizioni favorevoli per iniziare l’allattamento (allattamento precoce e vicinanza del bambino alla madre durante la degenza). Anche per la durata dell’allattamento e la pratica dell’allattamento esclusivo si osservano percentuali più basse tra quante non hanno avuto un parto naturale o con una regolare durata del periodo di gestazione. Tra le donne che partecipano a corsi di preparazione al parto la pratica dell’allattamento è più diffusa (84,0%) di quanto non avvenga tra le mamme che non vi hanno partecipato (78,7%). I corsi sono infatti orientati non solo a preparare le donne per il travaglio ed il parto, ma ad aumentare le competenze materne nel momento del puerperio. Le donne che vi partecipano sono informate sull’importanza dell’allattamento per la salute del bambino, sulla rilevanza del fatto che l’allattamento inizi più precocemente possibile, che il bambino sia allattato in modo esclusivo almeno per i primi mesi di vita e che l’allattamento al seno prosegua, se possibile, almeno per tutto il primo anno di vita, come raccomandato dall’OMS. Tra le donne che hanno frequentato corsi di preparazione alla nascita la quota di quante hanno avuto un periodo di allattamento esclusivo o predominante è più alta (70,9%) di quella che si osserva tra quante non vi hanno partecipato (60,8%) anche se va detto che le donne che hanno frequentato questi corsi hanno un livello più alto di istruzione ed una minore percentuale di parti cesarei.
Per le donne che hanno avuto più di un figlio si evidenzia in modo netto l’influenza dell’allattamento del figlio precedente: allattano il 92,1% delle donne che hanno già allattato in precedenza contro il 32,7% di quante non hanno allattato il figlio precedente. Tra le donne che hanno allattato altri figli la quota di coloro che allattano in modo esclusivo o predominante l’ultimo figlio è molto alta (74,3%).

Fonte ISTAT – Gravidanza, parto, allattamento al seno 2004-2005

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