Cristina ha 36 anni, un bimbo di 5 e la fibrosi cistica. Nonostante la rara patologia lei non ha rinunciato alla maternità: ha sentito il desiderio, ne ha parlato con il proprio medico del Centro di riferimento per la fibrosi cistica del Policlinico Umberto I di Roma, e ha capito che poteva tentare. “Non sono mai stata un’incosciente – racconta – Non volevo mettere a rischio la mia vita, ma le analisi dicevano che la condizione di partenza era buona. Ho fatto anche delle terapie preventive, per partire con il piede giusto”. Il risultato di quel percorso è un bambino allegro e super vivace. Quello di Cristina non è un caso isolato: sempre più donne con fibrosi cistica, in Italia e nel mondo, desiderano un figlio e in un numero crescente di casi riescono ad averlo.

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Di fibrosi cistica si muore ancora, anche in età giovane, ma nel complesso l’aspettativa di vita per i pazienti si è allungata – spiega la pneumologa Barbara Messore, del Centro di riferimento regionale per Piemonte e Valle d’Aosta per la fibrosi cistica negli adulti, presso l’ospedale San Luigi di Orbassano – È sempre più frequente trovare pazienti con più di 40 anni e cominciamo ad averne anche alcuni con 70 anni e più, anche se sono casi più lievi. Per chi è nato nel 2000 l’attesa media di vita stimata è di circa 50 anni, non è più una patologia pediatrica”.

Il passaggio all’età adulta pone dunque nuove sfide, come la voglia di genitorialità. Oggi grazie ai progressi della medicina, a farmaci innovativi e più efficaci e alle tecniche di procreazione assistita, quelli che un tempo erano ostacoli enormi possono essere superati con successo.

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Per gli uomini la fibrosi cistica comporta nella maggior parte dei casi infertilità, dovuta ad azoospermia ostruttiva – sottolinea Messore – Il problema, però, può essere affrontato grazie alle tecniche di procreazione medicalmente assistita”.

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Per le donne di solito non ci sono grossi problemi di fertilità ma è inevitabile chiedersi cosa comporti un evento impegnativo come una gravidanza. I cambiamenti fisiologici associati a questa condizione – a partire dall’aumento di volume dell’addome, che sposta il diaframma verso l’alto, portando a una riduzione della capacità respiratoria – infatti, possono costituire un rischio per chi già soffre di fibrosi cistica. Alcuni dati internazionali, però, dicono che per sempre più pazienti la risposta è “sì, si può fare”.
Negli Stati Uniti, le partorienti con fibrosi cistica sono passate da 3 su 100 mila a 9,8 su 100 mila in soli 10 anni, dal 2000 al 2010. Nel 2011 sono state 211 in tutto le donne americane con la malattia che hanno affrontato una gravidanza. Un trend crescente si registra anche in Francia dove, secondo i dati del Registro francese della fibrosi cistica, le gravidanze sono passate da 20 nel 2002 a 54 nel 2012, con un picco di 61 durante l’anno precedente. In Italia dati analoghi non sono ancora disponibili, ma quelli dei singoli centri confermano che c’è ormai una certa casistica. “Noi seguiamo 135 pazienti adulti, comprese 23 donne che, negli anni, hanno avuto uno o più figli – afferma infatti la professoressa Messore – Con queste pazienti non va affrontata solo la prospettiva della gravidanza, ma anche quella successiva di essere genitori, della fatica che comporta l’accudimento di un bimbo e lo spettro di una malattia che potrebbe complicarsi e portare a morte prematura”.

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La possibilità di una gravidanza dipende quindi dalle condizioni di partenza della paziente, condizioni e il primo passo da fare è sempre prendere contatto con il proprio medico perché le situazioni vanno valutate caso per caso. “In linea di massima se la funzionalità respiratoria è almeno discreta, con FEV1 superiore al 50-60% del predetto, e la malattia è stabile – precisa Messore – se lo stato nutrizionale è buono, se non c’è diabete, oppure è ben controllato, la gravidanza può essere affrontata con serenità”.

Una volta presa la decisione di provare ad avere un figlio il passo successivo è quello di valutare la possibilità di trasmissione della malattia con una consulenza genetica e un test sul futuro papà: se anche lui fosse portatore di mutazioni del gene della fibrosi cistica ogni figlio avrebbe il 50% di probabilità di essere malato. Laddove ci sia questa possibilità alla coppia spettano altre scelte complesse, eseguire o meno la diagnosi prenatale e, in caso di figli affetti dalla malattia, portare avanti la gravidanza o meno. Scelte complesse in un momento di grandi cambiamenti, in cui progressi della ricerca e in particolare l’arrivo di nuovi farmaci modulatori della proteina CFTR, lasciano immaginare un futuro in cui la malattia potrà essere, se non completamente sconfitta, almeno tenuta sotto controllo con più facilità.

Se, passati tutti questi step, la gravidanza infine arriva, il consiglio dato da tutti gli esperti, anche in letteratura, è quello di affidarsi a un’équipe multidisciplinare: non solo medico esperto in Fibrosi cistica e ginecologo, ma anche dietista, diabetologo, fisioterapista, psicologo. Per quanto riguarda il parto, non emergono dalla letteratura particolari indicazioni: si può tranquillamente affrontare un parto vaginale, ma il taglio cesareo non presenta particolari controindicazioni, specie se condotto con anestesia peridurale. La scelta è comunque da vagliare nel singolo caso, tanto per situazioni ostetriche quanto per le condizioni di salute e sicurezza della madre e del bambino. Qualunque sia la modalità del parto, il lungo viaggio della gravidanza è terminato, e finalmente può cominciare la nuova vita con il bambino.

In genere non ci sono problemi per l’allattamento, sempre se le condizioni materne sono buone e non c’è stato bisogno di somministrare antibiotici – chiarisce Messore – Però la neomamma non deve esagerare: anche dopo il parto, il suo primo obiettivo deve essere prendersi cura di sé. Solo così potrà prendersi cura al meglio anche del proprio bambino.

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