Nove aborti spontanei in due anni… ma oggi è mamma di una splendida bambina. Lei è una donna italiana di 31 anni che ha dovuto faticare per arrivare alla sua prima gravidanza. Il motivo? “Un problema a livello genetico che impediva la corretta divisione del patrimonio genetico negli ovociti”, spiega Michael Jemec, specialista in medicina della riproduzione di Lugano. “La soluzione che abbiamo offerto è stata possibile grazie all’implementazione all’interno della nostra struttura di un laboratorio di genetica validato e di un centro IVF all’avanguardia. Abbiamo eseguito la diagnosi pre-impianto sui globuli polari e individuare così gli ovociti sani, fecondarli e impiantarli. E alla prima inseminazione c’è stata subito la gravidanza che è stata felicemente portata a termine”.

La donna, che preferisce mantenere l’anonimato, si è presentata in un centro di infertilità di Lugano con l’esito dell’esame del cariotipo: risultava portatrice di una traslocazione robertsoniana, ovvero un difetto a livello dei cromosomi. “Parliamo di una malformazione a livello genetico che non comporta alcun effetto sulla persona e sul vivere quotidiano. Influisce però nella produzione degli ovociti: a causa di questa traslocazione, una grossa proporzione degli ovociti presenta un numero anomalo di cromosomi che impediscono alle eventuali gravidanze che si possono avere spontaneamente, di giungere a termine”, spiega Giuditta Filippini, direttore del laboratorio di genetica molecolare di Lugano in cui è avvenuta la fecondazione. “La translocazione robertsoniana è un’alterazione genetica che coinvolge due cromosomi, unendoli; il cariotipo risultante possiede perciò un cromosoma in meno. Il tipo più comune di translocazione robertsoniana interessa i cromosomi 13 e 14, e viene rilevato con una frequenza di circa 1 su 1.300 nati. Come per le altre traslocazioni bilanciate, i portatori di una traslocazione robertsoniana possiedono un fenotipo normale, ma hanno una più alta probabilità di aborti spontanei o di generare figli affetti da sindromi cromosomiche”.

Davanti ai nove aborti spontanei registrati nei due anni precedenti, la donna è stata indirizzata verso una diagnosi genetica pre-impianto delle malattie monogeniche (PGD, Preimplantation genetic diagnosis, ndr) effettuata attraverso l’innovativa tecnologia chiamata Array CGH. “Si tratta di una nuova metodologia che permette di identificare alterazioni cromosomiche, in questo caso utilizzata sui globuli polari”, prosegue Filippini.

La PGD permette di realizzare un importante traguardo in un percorso di fecondazione assistita: pur non dando la certezza del successo, aumenta i tassi di gravidanza”. Sottolinea Filippini: “Nel caso specifico, solo dopo l’analisi di questi globuli polari siamo riusciti ad individuare gli ovociti fecondati privi di alterazioni cromosomiche, quindi sani”. Questi ovociti sono stati fecondati in vitro, quindi impiantati. La paziente è riuscita a portare a termine la sua gravidanza ed è nata una splendida bimba.

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