Anonimo

chiede:

Gentile dott.ssa,
le scrivo passata la tempesta, anche se nel mio cuore ho ancora una cosa
da risolvere ma non so come fare, quindi Le scrivo per chiederLe aiuto.
Ho avuto una splendida figlia che ora ha due anni, ma che purtroppo ha
avuto l’esofagite da reflusso, una patologia che si è risolta dopo un anno
e mezzo e che ha messo a dura prova la nostra stabilità mentale
regalandoci in seguito una maturità e sensibilità senza precedenti ma
che al tempo ci ha fatto soffrire in modo incredibile.
Io e mio marito siamo persone abituate a contare sulle nostre forze, di
conseguenza non abbiamo mai chiesto favori a nessuno se non per pura
necessità.
Quando è nata Giulia la nostra felicità era alle stelle, ma quando
abbiamo assistito al suo perenne malessere fatto di pianti notte e
giorno, agitazione incontrollabile, ci siamo sentiti spiazzati. Io ho
perso il latte e la mia serenità, non ho potuto godere dei primi mesi di
mia figlia perchè io stessa non avevo la forza fisica per accudirla. Il
rancore nasce qui, perchè siamo stati isolati dai nostri familiari e
lasciati da soli se non per mia madre che, poverina, lavora.
Siamo stati inondati da critiche tipo “non vieni mai a trovarci” quando
sapevamo che anche guidare per me era diventato un incubo visto che
Giulia urlava dal dolore sempre. Siamo stati colpevolizzati, secondo loro
nostra figlia piangeva sempre perchè noi eravamo nervosi, anche di notte.
Grandi pianti, la pena di mio marito che temeva che facessi qualche
pazzia e le giornate intere da sola in casa perchè mi vergognavo di far
sentire piangere sempre la bambina, dandomene alla fine la colpa totale.
Ora sono serena, ma vorrei pensare a quel periodo con più distacco e
levarmi questa rabbia di dosso che mi fa star male ancora adesso.
La ringrazio tantissimo.

Carissima Emanuela, la rabbia che lei prova mostra quanto la sofferenza per
quel periodo sia ancora viva, nonostante “la tempesta sia passata”. Credo
che i sentimenti che più intensamente avete vissuto lei e suo marito in quel
periodo siano stati di totale incomprensione, di abbandono, di
colpevolizzazione, di svalutazione della vostra capacità di fare i genitori.
E tutto questo lavora come le gocce d’acqua sulla pietra, scavando un solco
che resta. La strada per potersi liberare dalla rabbia e recuperare un
ricordo meno doloroso di quel periodo può essere quella di accettare i
limiti dell’altro. Siete consapevoli di aver fatto del vostro meglio, di
avere avuto le vostre ragioni per fare determinate scelte, per essere
nervosi, per impostare la vostra vita e quella di Giulia nei primi mesi in
un modo per voi più consono, più adatto e sostenibile. Questa consapevolezza
deve essere forte in voi, la fiducia di aver fatto le scelte che ritenevate
in quel periodo, così come oggi e in futuro, giuste per la vostra famiglia,
con gli immancabili errori che tutti facciamo ma con il massimo sforzo e
impegno che potevate richiedere da voi stessi. Gli altri, soprattutto chi
non ha avuto figli, o chi comunque non ha vissuto come voi un periodo così
difficile con il suo bambino, difficilmente capiscono. Anzi, quasi mai.
Ricordo le facce allibite delle mie amiche quando dicevo loro che non uscivo
a cena perché mia figlia di 6 mesi non amava la macchina. La verità era che
urlava come un’ossessa appena messa in auto e per tutto il tragitto, e io
andavo completamente nel panico, non riuscivo a fare finta di non sentirla,
a dirmi che piangere un po’ non le avrebbe certo fatto male. Loro non hanno
mai capito. Io invece ho capito che rispettare una mia difficoltà, anche a
rischio di passare per una mamma superapprensiva che paralizza la propria
vita in funzione di un frugolo di 6 mesi, è stato un regalo prezioso che mi
sono fatta. Con il senno di poi mi dico che avrei anche potuto provare a
guidare, poi però mi ricordo che in quel momento era una richiesta troppo
grande che facevo a me stessa. E quindi va bene così. Peccato che non ci
siamo capite con quelle amiche. So che quando avranno figli anche loro,
probabilmente capiranno. O forse no. Ma l’importante è non permettere ad
altri di farci sentire cattivi genitori, di mettere in discussione la nostra
libertà, il nostro diritto e il nostro dovere in quanto madri e padri di
decidere cosa è giusto per i nostri figli. Molte persone giudicano senza
conoscere, senza provare a capire, senza rendersi conto del male che fanno.
Non sempre è possibile cambiare gli altri, far loro comprendere le nostre
ragioni. Possiamo però non permettere ai loro giudizi di minare la fiducia
che abbiamo in noi, e al limite dispiacerci della loro incapacità di provare
a capire le ragioni dell’altro. Spero con tutto il cuore che lei trovi la
strada per riconciliarsi con i suoi ricordi, e con l’immagine di se stessa
in quel doloroso periodo.
Con simpatia

* Il consulto online è puramente orientativo e non sostituisce in alcun modo il parere del medico curante o dello specialista di riferimento

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