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Quando hai due figli, capisci che non tutto quello che fanno e dicono dipende dall'educazione che hanno ricevuto. La loro indole ha un peso importante.
È stata una delle prime cose che ho imparato dopo la nascita del mio primogenito: le persone tendono ad attribuire la responsabilità dei comportamenti di un bambino ai genitori (in primis alla madre, chissà poi perché). Nel bene e nel male, ma direi soprattutto nel male.
Se un neonato piange quando viene messo nella carrozzina, è stato senza dubbio viziato dalle materne braccia. Se si sveglia troppo di notte, evidentemente non è stato “bene educato”. E se, una volta cresciuto, non mangia tutto quello che gli viene proposto, se parla a voce alta, se piange “troppo”, la responsabilità non può che essere, ancora una volta, della sua inadeguatissima genitrice.
All’inizio, ci ho creduto davvero. Devo dire che io stessa, prima di avere figli, avevo fatto spesso commenti e considerazioni di questo tenore. Ci sono stata anche male, attribuendomi la colpa di ogni cosa che sembrava “non andare” in mio figlio: la sua timidezza, la facilità alle lacrime, la vivacità incontenibile. Poi, però, è nata sua sorella, ed è stato come avere una illuminazione.
I miei figli hanno sicuramente molte cose in comune, ma su tante altre sono assai diversi, come il giorno e la notte. Lei mangia qualsiasi cosa, lui è molto selettivo. Lei tende a essere testarda, lui è molto accomodante. Lei si arrampica e salta dappertutto, lui non lo aveva mai fatto. Lui parla fortissimo, lei ha una vocina sottile.
La verità, piuttosto banale, in effetti, è che ogni bambino è un individuo unico, con caratteristiche innate che sono presenti fin dalla nascita. I genitori hanno il ruolo fondamentale di dare loro regole, limiti e soprattutto l’esempio migliore possibile, ma non tutto quello che un figlio dice o fa (non dice o non fa) dipende dal modo in cui viene educato. Se un bambino piccolo corre e disturba al ristorante è una cosa, ma se scoppia a piangere quando è frustrato o spaventato è un’altra.
Se si alimenta solo di dolci o snack è un conto, ma se mostra determinate preferenze alimentari a tavola, ne è un altro. Se picchia sistematicamente i compagni di scuola è un conto, se si rifiuta di salutare persone sconosciute, un altro.
Il paradosso a cui mi sembra di assistere è che, da una parte, i genitori della mia generazione facciano sempre più fatica a trovare un modello educativo da applicare, che siano fiaccati da un ruolo che, forse, viene affrontato con una consapevolezza nuova, mai avuta dalle migliaia di generazioni che ci hanno preceduti. E, dall’altra, che la gente confonda sempre più spesso la vivacità infantile con la maleducazione, mal tollerandola e attribuendone la colpa alla “incapacità” dei genitori.
In realtà, almeno secondo me, la sfida educativa consiste proprio nel riuscire a trovare la chiave giusta per ogni figlio. Il codice specifico all’interno di una lingua familiare comune. Ben sapendo, però, che per quanto il nostro ruolo sia strategico, nel bene e nel male, sarà anche la personalità dei bambini ad avere un certo peso.
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