La tiroide, come spiegato nell’approfondimento dell’Istituto Superiore di Sanità dedicato alle malattie tiroidee, è una ghiandola endocrina, situata alla base del collo, che ha il compito di produrre l’ormone tiroideo. Questo ormone si occupa di diverse funzioni: da quelle legate al metabolismo all’accrescimento corporeo passando per lo sviluppo del sistema nervoso centrale.

Qualsiasi disturbo a carico di questa ghiandola, quindi, può determinare diversi problemi (anche seri) all’intero organismo.

Approfondiamo la cosiddetta tiroidite di Hashimoto, una malattia autoimmune che colpisce la tiroide e che interessa tra il 5% e il 15% delle donne e tra l’1% e il 5% degli uomini.

Le cause della tiroidite di Hashimoto

Le tiroidite, di cui quella di Hashimoto è la forma più comune, è un’infiammazione della tiroide che, come riportato nel Manuale MSD, può essere causata da una malattia autoimmune o da un’infezione virale. La tiroidite di Hashimoto è una malattia autoimmune per la quale il sistema immunitario attacca per errore le cellule tiroidee danneggiandole o portandole alla morte.

La Mayo Clinic individua – sebbene le cause dirette non siano del tutto chiare – tre diversi elementi associati all’insorgenza di questa malattia: i fattori genetici, quelli ambientali (esposizione alle radiazioni, infezioni o stress) e le interazioni tra questi due fattori.

Ci sono soggetti maggiormente esposti al rischio di contrarre la tiroidite di Hashimoto. Il National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases riporta come le donne tra i 30 e i 50 anni siano più soggette a questa patologia. Inoltre è una condizione per cui vi può essere una certa familiarità e vi è la probabilità di svilupparla in presenza di altre malattie autoimmuni come la celiachia, il lupus, l’artrite reumatoide, il diabete di tipo 1 e la Sindrome di Sjögren.

Sintomi e conseguenze

La tiroidite di Hashimoto, come segnalato dal Cleveland Clinic, può essere inizialmente asintomatica e solo con il progredire (lento) della malattia la tiroide si ingrossa. L’ingrossamento della tiroide (gozzo) è il primo segno di questa condizione e successivamente si possono manifestare:

  • aumento di peso;
  • affaticamento;
  • dolori muscolari;
  • rigidità articolare;
  • maggiore percezione e sofferenza del freddo;
  • gonfiore agli occhi e al viso;
  • costipazione;
  • battito cardiaco rallentato;
  • perdita di capelli;
  • pelle secca;
  • cicli mestruali abbondanti e prolungati (ipermenorrea e menorragia) o irregolari;
  • infertilità;
  • difficoltà a concentrarsi;
  • depressione.

Nella metà dei soggetti con questa condizione inizialmente la tiroide è ipoattiva, mentre nell’altra metà dei casi il suo funzionamento è regolare per poi evolvere verso l’ipotiroidismo. In alcuni casi (meno frequenti) la tiroidite di Hashimoto può dare ipertiroidismo e in questi casi i principali sintomi sono l’intolleranza al calore, il nervosismo e le palpitazioni.

Oltre all’ingrossamento della tiroide (che può causare, specialmente nelle forme più evidenti, conseguenze estetiche e difficoltà nella respirazione e nella deglutizione), la tiroidite di Hashimoto può determinare problemi al cuore (insufficienza cardiaca e malattie cardiovascolari), colesterolo alto, pressione sanguigna alta e mixedema (una condizione rara per cui vi è un rallentamento delle funzioni del corpo con il rischio di sopravvivenza).

Tiroidite di Hashimoto e concepimento

L’attività della tiroide è legata anche alla regolarità dell’ovulazione, motivo per cui qualsiasi disturbo associato a questa ghiandola ha inevitabili conseguenze anche sulla fertilità. La tiroidite di Hashimoto, infatti, può portare a sanguinamento mestruale irregolare o eccessivo e, nelle donne, anche a una riduzione del desiderio sessuale.

Negli uomini, invece, l’ipotiroidismo oltre a interferire con la libido può provocare una disfunzione erettile e la presenza di un numero di spermatozoi ridotto nel liquido seminale.

La tiroidite di Hashimoto in gravidanza

Oltre ai problemi sulla fertilità la tiroidite di Hashimoto, come ogni altra forma di ipotiroidismo, se non trattato può causare diverse conseguenze anche fatali. In questi casi, infatti, vi è un aumento del rischio di aborto spontaneo, parto pretermine, natimortalità e dell’aumento della pressione sanguigna materna (preeclampsia).

I bambini nati da donne con ipotiroidismo non trattato sono soggetti al rischio di una diminuzione delle capacità intellettuali, ritardo nell’acquisizione del linguaggio, autismo e altri disturbi dello sviluppo.

Terapia e trattamento

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Fonte iStock

La diagnosi della tiroidite di Hashimoto avviene sia tramite esame fisico che analisi del sangue. Nel primo caso il medico può riconoscere la presenza del gozzo tramite un esame obiettivo della zona del collo e poi, anche sulla base dell’anamnesi del paziente, prescrivere un esame del sangue per verificare l’attività della tiroide.

Dall’esame del sangue è possibile valutare gli ormoni tiroidei (T3 e T4), l’ormone che controlla la tiroide (TSH) e gli anticorpi perossidasi tiroidea (TPO) un particolare tipo di anticorpo presente nei soggetti con la malattia di Hashimoto. Inoltre può rivelarsi utile, come indicato dall’Ospedale Niguarda di Milano, il ricorso all’ecografia tiroidea che consente di ottenere uno studio morfologico della ghiandola e di evidenziare la vascolarizzazione e l’ecogenicità, due variabili collegate al processo autoimmune della patologia.

Di per sé la tiroidite di Hashimoto è una malattia cronica per la quale non esiste una cura definitiva e risolutiva. La terapia prevede, per i soggetti con ipotiroidismo, l’assunzione dell’ormone tiroideo ed è un trattamento da proseguire per tutta la vita monitorandone l’andamento nel corso del tempo. Inoltre per questi pazienti è consigliato di evitare un’eccessiva assunzione di iodio da fonti naturali.

Va posta attenzione anche alle interferenze che alcuni farmaci, alimenti e integratori possono avere sulla capacità dell’organismo di assorbire l’ormone tiroideo sostitutivo. Tra questi rientrano gli alimenti ricchi di fibre, i prodotti di soia, gli integratori di calcio e alcuni farmaci impiegati per abbassare i livelli di colesterolo nel sangue e quelli per il trattamento dell’ulcera.

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