"Io e mia moglie abbiamo abortito al sesto mese. Non giudicate: ascoltate"

"Invito chi afferma 'Io non lo farei mai' a compiere il doveroso tentativo di comprendere coloro che hanno visto trasformarsi la scelta riguardo l’aborto da ipotesi etica a decisione reale": la storia di una coppia costretta a prendere una decisione impossibile.

Dopo otto anni sono tornato su queste pagine.
Ne ho sentito il bisogno dopo che un Papa che mi pareva illuminato e giusto ci ha definiti alla stregua di mandanti di un omicidio, foraggiatori di sicari.
Questo è semplicemente inaccettabile“.

Sono le parole che Matteo ha affidato al forum di GravidanzaOnline, scritte all’indomani dell’intervento con cui Papa Francesco ha condannato l’aborto. La voce di Matteo è una delle molte che, negli anni, si sono affidate alle pagine virtuali del forum per condividere con altri un dolore immenso. O, come in questo caso, una situazione feroce che porta con sé una scelta impossibile: quella dell’interruzione volontaria di gravidanza per patologie incompatibili con la vita.

Così è successo a Matteo, a sua moglie Sara e al loro bimbo Sebastiano, affetto da una grave anomalia cromosomica, la Trisomia 13 (o sindrome di Patau). Una condizione che è stata riconosciuta – per una lunga catena di errori e disattenzioni mediche – solo a gravidanza inoltrata, quando, per la legge italiana, l’aborto terapeutico non si può più praticare e l’alternativa è quella di rivolgersi alle cliniche estere (in Francia, soprattutto).

Oggi Matteo è di nuovo papà, ma su quel dolore che il tempo non lenisce è tornato più volte: la storia di suo figlio Sebastiano si può trovare, per intero, sul Forum di GravidanzaOnline, a questo link. Un avvertimento dovuto: non è una lettura leggera.

È il racconto dettagliato e lucido di un percorso difficile, di inciampi nell’imperizia medica prima e nelle contraddizioni burocratiche poi, fino a raggiungere l’unico epilogo possibile, il peggiore, e lontano da casa.

Siamo convinti che parlare di quel che spesso rimane sommerso sia il primo passo per evitare di dare giudizi netti e affrettati su argomenti davvero troppo complessi persino per chi li vive, e che a maggior ragione esigono comprensione. Non condanne.

Scegliamo di pubblicare qui alcuni passaggi della storia di Matteo, Sara e Sebastiano: con l’intento di dare un contributo, per quanto parziale, a una riflessione che sappia essere costruttiva e non distruttiva.

La gravidanza di Sara andava bene, avevamo fatto il B-Test (mia moglie ha 32 anni) con un risultato addirittura fuori scala, migliore di 1:20000. Entrambi eravamo titubanti riguardo l’idea di fare anche un’amniocentesi, il B-Test era davvero rassicurante e la ginecologa privata che seguiva Sara, la dottoressa *BS*, ci aveva descritto l’amniocentesi come esame invasivo che porta con sé il pericolo di aborto. La parola “invasivo” aveva per noi un significato tutt’altro che medico, ci appariva più simile al concetto di “violento” “dilaniante” “dirompente”. Oggi sappiamo che “invasivo” in medicina significa che si entra, che non avviene dall’esterno, ma dall’interno. Null’altro che questo. […] Titubanti ci guardiamo e la *BS* dice “Massì, ma lasciamolo in pace questo bambino, con un B-Test come il vostro!” E noi decidiamo di lasciarlo in pace. La *BS* non è una grande ecografista, neppure dice di esserlo, e facciamo le ecografie di routine, quelle passate dalla mutua, presso un poliambulatorio relativamente vicino a casa nostra. Tutto procede nel migliore dei modi, facciamo le nostre brave visite di controllo con la *BS* e da ogni visita usciamo allegri: ma che bell’utero, guarda come cresce bene, eccetera eccetera.

[…] Alla 22esima settimana abbiamo la morfologica all’ambulatorio di cui sopra: il primo campanello di allarme… L’ecografista, del quale non ricordo il nome, segnala sospetta arteria unica nel cordone ombelicale e un rene non visualizzato in quanto nascosto dall’ombra della colonna. Consiglia ecografia di secondo livello. Ci prepara l’impegnativa. […] Notte in bianco e, al mattino, di corsa al Buzzi per fare l’eco di secondo livello. Al Buzzi ci rimbalzano bellamente: ci dicono che l’arteria unica è una ca***ta, è come essere mancini, una variante frequente e di nessuna importanza. Ci dicono che loro, per l’arteria unica, non fanno un secondo livello. […] La sera stessa raccontiamo alla *BS* che al Buzzi ci hanno rimbalzati e quindi siamo andati al Melloni, ospedale, tra l’altro, che abbiamo scelto per partorire. La dottoressa, infuriata, tratta Sara a pesci in faccia, le dice che se al Buzzi hanno detto che non c’è nulla di cui preoccuparsi, allora è così, (senza neppure sapere con chi avessimo parlato al Buzzi) che della Melloni non si fida e che poi, a partorire, si va nell’ospedale dove lavora la tua ginecologa (la *BS* lavora alla Pio X, ma per il secondo livello c’ha indicato il Buzzi, non la Pio X)… Conclude la telefonata con “Comunque fai come vuoi, se sai tutto tu!” Fine dei rapporti con la *BS*.

Chiuso il rapporto con la ginecologa Matteo e Sara si rivolgono ad un’altra struttura ospedaliera, dove vengono seguiti da una dottoressa che acquista subito la loro fiducia. Dai nuovi esami emergono però segnali tutt’altro che rassicuranti:

La situazione non convince. Troppe piccole cose, ciascuna di per sé insignificante, ma tutte insieme non le si vorrebbe mai trovare. Ci riconvoca dopodomani. […] L’esame finisce ed è la *MS* a parlarci: qualcosa non va. Ci sono tanti soft-markers in un unico feto. Troppi. La situazione complessiva è un grosso campanello d’allarme. Ci spiega che esiste il sospetto di sindrome cromosomica. Oppure è solo un bimbo piccino. Può darsi anche questo. Poi dice qualcosa d’altro, ma io non capisco più niente, ho in testa solo la parola sindrome sindrome sindrome sindrome… Ci spiega che ci sono due esami importanti da fare: l’ecocardio e l’amniocentesi. Lei dice di non aver visto nulla di strano nel cuore, ma preferisce mandarci a San Donato dove c’è la dottoressa *FV*, luminare di ecocardiografia. Poi ci parla dell’amniocentesi e pone la domanda di rito: “Cosa volete fare? Cosa ne facciamo del risultato di un’amniocentesi? Sapete che in Italia non è permessa l’interruzione di gravidanza dopo la 22esima settimana” Lo sappiamo.

Mentre si attendono i nuovi esami Matteo e Sara decidono di iniziare a informarsi sull’eventualità – che sperano di non dover affrontare – di interrompere la gravidanza all’estero, se si rivelasse necessario.

Chiedo a Sara se è d’accordo sulla mia idea di iniziare a cercare informazioni nel caso le cose non vadano bene, le dico che me ne occupo io. Dice di sentire che il suo bambino è sano, sente che si muove, sente che sta bene. Dice che tutti questi esami stanno snervando lei e anche il piccolo. Mano a mano la voce si gonfia di rabbia e di pianto, mi attacca duramente, come se io fossi nemico del suo piccino. È naturale, è una mamma che difende il suo bimbo. Io incasso e le spiego quanto anch’io voglia bene a questo bimbolino. Piango. […] Giovedì 29 sembra una bella giornata […] poi arriva la telefonata dall’ospedale, cade come una scure su qualunque speranza. Il referto è Trisomia 13 totale, senza mosaicismi. In pratica tutte le cellule di Sebastiano sono malate. La Trisomia 13 è catalogata come Sindrome di Mutazione Casuale Incompatibile con la Vita. Sebi non può vivere. È Sara a riceverla. Io sono via in macchina. La chiamo per avvisarla che sto tornando per pranzo: lei riesce a nascondere tutto il suo dolore, teme che mi schianti sulla via del ritorno. Entro in casa, piuttosto allegro, il mio papà sta bene… Apro la porta e vedo due persone. Sara è sul divano in lacrime. *VL*, un’amica le tiene la mano. Capisco tutto, mi cade ciò che ho in mano. Con un filo di voce chiedo cosa è successo, per un attimo spero sia morto un parente o un amico. So che non è vero, ma lo spero. Scusate, parenti ed amici: nulla di personale… Sara mi dice che ha chiamato la *MS*. Mi spiega che si tratta di una Trisomia 13, che non c’è speranza. La *VL* ci abbraccia entrambi e si dilegua, non so come, con una magia. Gridiamo, piangiamo, urliamo di dolore. Un dolore atroce, senza speranza. Poi è solo un rantolo sommesso. Sara mi chiede se poi ho portato avanti la ricerca delle informazioni per l’aborto all’estero. Le rispondo di sì, che so tutto. Chiamo i miei, li metto al corrente della situazione, invio a mia madre la mail che avevo già pronta con i numeri di telefono delle strutture francesi dove è possibile eseguire l’intervento, lei un po’ di francese lo sa e inizia a telefonare. […] Il resto è nebbia. Non ricordo altro, se non che la notte mi sono alzato e ho cercato su Google cosa significa Trisomia 13. Ho aperto anche le immagini. Non fatelo mai. Mai mai. Mai.

La diagnosi apre le porte all’eventualità che entrambi speravano di non dover affrontare: la struttura che Matteo e Sara individuano (dopo una ricerca tutt’altro che semplice) è in Francia, a Lione. Qui Sara viene ricoverata per la pratica dell’aborto terapeutico.

Nella sala parto ci siamo solo io e lei, io sono su uno sgabello, piegato in avanti, con la testa appoggiata al letto dove il Mio Amore soffre nel corpo e nell’anima. Tutto ciò che posso fare è sussurrarle che la amo tenendole stretta la mano, non è tanto, ma è tutto. Dopo la quarta dose le contrazioni si fanno più forti, molto più forti, corro a chiamare l’ostetrica. Nel tempo che segue avviene quello che normalmente si definisce il miracolo della nascita, ma che nel caso di Sara è privo della ricompensa che corona il parto. La nostra ricompensa è la fine della sofferenza fisica di Sara. Nessuna gioia, solo sollievo e profonda tristezza. Come avevo immaginato diversamente questo momento… L’ostetrica ci chiede se vogliamo vederlo. Guardo Sara e le sorrido dolcemente, sa che io preferirei di no, ma sa anche che qualunque sarà il suo desiderio, io sarò con lei. L’altra infermiera infagotta Sebi ed esce. Lo preparerà per mostrarcelo.

[…] Bussano, è l’ostetrica con un fagottino tra le braccia. Il bimbo ha in testa un cappellino di lana con un grosso pompon. Il corpicino è coperto da un lenzuolino bianco. Sara allunga le braccia, l’ostetrica glielo passa. È piccolo piccolo, ha gli occhi chiusi, dal taglio allungato, come la sua mamma. Il naso è molto grosso e appiattito. Sara scopre il corpicino. Ha grosse ginocchia, grosse mani, grossi piedi, come il suo papà… Non proprio come il suo papà: il nostro bimbolino ha dita in più, una sull’altra. Ma non è questo che mi impressiona, mi impressiona il colore: violaceo, come i neonati e grigio, come i morti. Due colori che non dovrebbero mai stare insieme. Sara, spostandosi, riduce la base di appoggio e la testolina cade un poco indietro. La bocca si apre e quel faccino con gli occhi serrati sembra che urli. Non riesco a togliermi quest’immagine dalla testa, la rivedo in continuo e mi terrorizza, mi dilania. Chiamiamo l’ostetrica che porta via il nostro bimbo. Sebastiano verrà cremato e le sue ceneri disperse in un prato: è una zona che l’ospedale propone per la dispersione delle ceneri dei bambini, in alternativa ai boschi circostanti. Non voglio che il nostro bimbo si trovi solo nel bosco, il bosco ad un bimbino solo fa paura. Voglio che stia con gli altri bimbi a giocare nel prato, per sempre, ridendo di gioia, come, mesi fa, io l’ho sognato.

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Dopo aver letto la storia di Matteo e il suo commento alle dichiarazioni del Papa gli abbiamo chiesto di condividere la propria riflessione sintetizzando (per mere – nostre – ragioni di spazio, e per non intervenire sul suo testo) gli avvenimenti.

Questa è la risposta che abbiamo ricevuto, e che pubblichiamo nella convinzione che il confronto su un tema delicato quale quello dell’aborto meriti profondo rispetto e non giudizio, necessiti di dialogo e non chiusura e, soprattutto, vada accolto e non respinto.

A prescindere dalle opinioni che si hanno in merito, perché dubitiamo che stigmatizzare le scelte (obbligate o meno) altrui – quando nemmeno la legge è in grado di dare risposte – sia il modo più corretto, e umano, di affrontare il tema.

Lettera al Papa (e non solo)

Una lunga, dilaniante, difficile storia ci ha portato ad interrompere una gravidanza anelata, cercata e voluta.

Noi siamo tra coloro i quali lei ha definito “mandanti di sicari”.

La pregherei di riflettere prima di permettersi di colpire con ingiuriose accuse delle persone che, nella più acuta delle sofferenze, hanno preso una decisione il cui peso lei non può conoscere: non ha semplicemente l’umana esperienza necessaria per capire.

Non le chiedo di rinnegare il suo credo o di ignorare le sue convinzioni etiche e religiose, non le chiedo di astenersi dall’esprimere il suo parere, di non ribadire la posizione della Chiesa riguardo l’aborto, ma la sollecito – e mi sento nel pieno diritto di poterlo pretendere – a non insultare mai più coloro che hanno vissuto ciò che lei non potrà mai vivere, di astenersi da contumelie verso persone le cui sofferenze lei non è in grado di comprendere.

La invito a leggere le testimonianze di chi, tra indicibili difficoltà e orrende sofferenze, ha compiuto la scelta di interrompere una gravidanza.

Invito chi, con una certa faciloneria, afferma “Io non lo farei mai” a compiere, prima di proferire verbo, il doveroso tentativo di comprendere coloro che hanno visto trasformarsi la scelta riguardo l’aborto da ipotesi etica a decisione reale.

Leggete queste storie: ciascuna è diversa dall’altra, nessuna è sintetizzabile, ma sono tutte accumunate da acuto dolore, profonda sofferenza e, soprattutto, da un gran rispetto per la Vita.

http://forum.gravidanzaonline.it/forum/viewtopic.php?f=54&t=46684 http://forum.gravidanzaonline.it/forum/viewtopic.php?f=54&t=23362

Eccetera

Matteo

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