Almeno questa me la sono risparmiata, devo dire. Anzi. Nel mio caso, avendo concepito la secondogenita appena un anno dopo la nascita del mio primo figlio, i commenti della gente erano di solito di tenore opposto, e spaziavano da originalissime battute sulla presunta mancanza della televisione in casa nostra a incoraggianti osservazioni sull’inferno in cui ci stavamo deliberatamente cacciando, svendo scelto di sfornare due marmocchi in meno di due anni.

Però, se non altro, in questi casi io potevo limitarmi ad alzare le spalle o a spiazzare il simpaticone di turno alludendo ironicamente alla frenetica attività sessuale mia e di mio marito, mettendo a tacere qualsiasi altro commento intelligente e, si fa per dire, empatico. Mi è stato risparmiato il supplizio che tocca a chi, secondo una mentalità stereotipata e conformata, tarda a “fare un fratellino” per il suo primogenito. Come se poi, peraltro, la scelta definitiva, irreversibile e colossale di avere un bambino si possa ridurre alla volontà di dare una compagnia a un figlio già nato.

Perché io riesco a immaginarla, la sofferenza di una coppia che magari lo vorrebbe anche, un secondo figlio, però non riesce ad averlo per ragioni di salute, per esempio. Oppure, tanto per dire, vive un momento di difficoltà economica o lavorativa e proprio non osa immaginarla, una nuova maternità.

secondo figlio fare un fratellino

O ancora sta affrontando una fase delicata dal punto di vista coniugale e non ci pensa neanche lontanamente al secondo figlio in un momento delicato e confuso, perché i figli non risolvono le crisi, ma al contrario andrebbero pensati e messi al mondo in un contesto solido e sereno. O, più banalmente, è già costretta a fare i salti mortali con un solo figlio per gestire le normali attività quotidiane, per conciliare lavoro e famiglia, per far fronte alle normali fatiche e alle difficoltà giornaliere di una società che alle famiglie non offre i servizi, l’assistenza e il supporto che servirebbero.

E immagino anche l’amarezza di una coppia che si sente chiedere del famigerato “fratellino”, ma un secondo figlio, semplicemente, non lo desidera. Perché ha raggiunto un equilibrio sufficientemente stabile, perché sente che la vita familiare è già completa e appagante così, perché – c’è anche questo e non è necessario fingere che non sia così – tirare su un bambino può essere fisicamente e moralmente estenuante, e a qualcuno può davvero bastare una singola esperienza.

fare un fratellino secondo figlio

La verità è che non esiste al mondo una sola ragione valida per cui una coppia dovrebbe sentirsi in dovere di dare alla luce un secondogenito, o di metterlo in cantiere entro un determinato tempo limite. Se anche la ragione per cui una coppia sceglie di procrastinare, o anche di evitare definitivamente, l’arrivo di un fratellino fosse il semplice rifiuto di ritrovarsi a non dormire la notte e a cambiare pannolini, sarebbe una ragione legittima e del tutto valida per quella determinata coppia e per quella determinata famiglia. Insindacabile, indiscutibile.

Lo dice una figlia unica che per questa sua condizione ha sempre sofferto (e soffre tuttora) e che non a caso ha deciso di avere due bimbi a pochissima distanza. Perché “fare un fratellino” solo per rendere ipoteticamente più contento il primogenito, se quel secondo figlio in realtà non lo si desidera intimamente, e se non si ritiene che sussistano le condizioni favorevoli – familiari, personali, psicologiche, economiche, lavorative, etc. – non solo non ha senso, ma restituirebbe al primogenito dei genitori in difficoltà, e non il regalo prezioso di un fratello o di una sorella. E gli altri dovrebbero imparare semplicemente a farsi gli affari propri, su questo e su tante altre cose.

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