Guida alla depressione post partum, come distinguerla da baby blues e psicosi puerperale

Tra paura, vergogna e pregiudizi è spesso difficile parlare di depressione, specialmente quella che può colpire le donne dopo il parto. Cerchiamo di comprendere le cause e i segnali della depressione post-partum per poterla affrontare tempestivamente.

Quello della depressione post partum è uno degli argomenti più difficili da trattare, per almeno tre diverse ragioni. Innanzitutto per difficoltà a comprendere, contestualizzare e affrontare senza pregiudizi i fenomeni che non siano prettamente fisici. Secondariamente c’è la tendenza a minimizzare e banalizzare le condizioni psicologiche come fossero il risultato di una debolezza caratteriale.

Tutto questo si innesta poi perfettamente in tutti quei pregiudizi sulla gravidanza, il parto e la maternità per cui le donne devono essere sempre contente di essere madri e qualsiasi difficoltà in materia non viene capita né accettata.

Eppure la depressione post partum, che WebMD, riprendendo le indicazioni del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), definisce come la forma di depressione maggiore che inizia entro le prime quattro settimane successive al parto, è un fenomeno non solo estremamente serio e potenzialmente pericoloso, ma anche relativamente frequente.

L’Istituto Superiore di Sanità, infatti, stima che circa una donna su 10 vi va incontro entro i primi 12 mesi successivi al parto. Spesso il problema viene sottovalutato o ignorato per vergogna (anche dei familiari più stretti) o per paura di quello che una conferma diagnostica potrebbe significare.

Cerchiamo quindi, con il rispetto e l’attenzione che merita, di fare luce su questo fenomeno in modo da individuarne i primi segnali e le strategie migliori da mettere in atto per assicurare, innanzitutto alla donna, la serenità cui ha diritto e, parallelamente, anche al suo bambino e all’intero nucleo familiare, anch’essi inevitabilmente coinvolti dalle conseguenze di uno stato depressivo.

Baby blues o depressione post partum?

Dopo il parto è fisiologica sia la stanchezza fisica dovuta alle fatiche del travaglio e dello scombussolamento dei mesi di gravidanza che una certa instabilità emotiva. Questa è quella che comunemente viene definita come baby blues, uno stato non patologico e passeggero che si esaurisce nell’arco di alcune settimane senza il ricorso a terapie farmacologiche o psicoterapeutiche.

Discorso completamente diverso, invece, per la depressione post partum, una condizione che come evidenziato dalla Fondazione Umberto Veronesi riprendendo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Pediatrics, può durare anche fino a 3 anni dalla nascita del bambino.

A differenza del baby blues, la depressione post partum si verifica, come precisato dall’Unicef, dalle due alle otto settimane dopo la nascita del bambino e non si risolve né spontaneamente né rapidamente e, inoltre, non è un semplice stato di tristezza. Inoltre, come evidenziato da questo studio, questa forma di depressione colpisce sia la donna che il rapporto con il bambino tanto che la risposta e il comportamento del cervello materni sono compromessi.

La condizione più grave che può colpire la neomamma a causa dei cambiamenti fisici, ormonali, emotivi, sociali ed economici conseguenti alla nascita di un bambino è la psicosi puerperale. Come evidenziato dal Cleveland Clinic questa grave condizione richiede cure mediche di emergenza. È una realtà che interessa circa 1 donna su 1000 ed è caratterizzata da stato confusionale, sentimenti di vergogna, paranoia, insonnia, deliri, iperattività, allucinazioni, grave agitazione e comportamenti maniacali che si sviluppano rapidamente già dai primi giorni dopo il parto.

Le cause profonde della depressione post partum

Come ricordato dalla Mayo Clinic, la depressione post partum non è né un segno di debolezza né un difetto del carattere della donna, ma può essere a tutti gli effetti considerata una delle complicazioni del parto.

L’esatta causa, come indicato nel Manuale MSD, è sconosciuta, ma esistono fattori di rischio importanti che aumentano le possibilità di andare incontro a una condizione di questo tipo. Conoscerli è fondamentale per intervenire in maniera preventiva essendo questa, come precisato dall’Ospedale Niguarda, la miglior cura possibile.

Il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) indica i seguenti fattori di rischio per la depressione post partum:

  • precedente storia di depressione;
  • storia familiare di depressione;
  • eventi stressanti;
  • difficoltà a ottenere una gravidanza;
  • scarso supporto sociale;
  • maternità durante l’adolescenza;
  • travaglio e parto prematuro;
  • gravidanza gemellare;
  • complicanze del parto.

A tutti questi vanno aggiunte le condizioni di vita, lavorative, personali e familiari stressanti che possono creare il terreno fertile per l’insorgenza di uno stato depressivo. Indubbiamente nella depressione post partum svolgono un ruolo importante gli ormoni con i cambiamenti, spesso continui e repentini, che avvengono durante e dopo la gravidanza.

Ci sono evidenze scientifiche che mostrano come i cambiamenti degli ormoni riproduttivi (specialmente estradiolo, progesterone, ossitocina e prolattina) stimolino la disregolazione di questi ormoni.

Depressione post partum: i sintomi e i segnali

Sintomi depressione post partum
Fonte: iStock

La sintomatologia della depressione post partum è molto varia e inizialmente confondibile con condizioni passeggere e fisiologiche (come il baby blues); riconoscere i primi segnali, senza cadere nell’ossessione di esserne vittime, è quanto di più importante si possa fare per prevenirla e ridurne l’impatto. La diagnosi ufficiale include la perdita di interesse (anedonia) insieme ad almeno altri cinque dei seguenti sintomi:

  • umore depresso per gran parte della giornata;
  • insonnia;
  • perdita di piacere per la maggior parte del tempo;
  • senso di colpa;
  • agitazione;
  • ritardo psicomotorio;
  • indecisione;
  • difficoltà nella concentrazione;
  • affaticamento e perdita di energia;
  • variazioni di appetito e peso (5% in un mese);
  • pensieri ricorrenti di morte;
  • pensieri suicidi o tentativi suicidi.

A questi vanno aggiunti la perdita di interesse per le relazioni sociali, il mal di testa, il pianto incontrollabile, gli sbalzi d’umore, l’irritabilità, la rabbia, la paura di fare del male al bambino, l’ansia, gli attacchi di panico e la sensazione di essere inadeguata come madre.

Fondamentalmente i sintomi sono i medesimi di una depressione non puerperale ,con in aggiunta l’esperienza del parto e le declinazioni specifiche.

Come si può vedere, sono molto vari i sintomi e i segni associati alla depressione post partum e possono avere un’intensità differente da soggetto a soggetto. Sebbene con importanti differenze, la depressione post partum non è un fenomeno prettamente femminile. Non è raro (alcuni studi pilota indicano 1 caso su 10) che anche i padri siano coinvolti in stati depressivi dopo la nascita del figlio e spesso, ancor più di quanto avviene nelle donne, qui vi è un senso di vergogna nell’accettare l’idea di avere questa malattia (la depressione questo è) come se fosse una sconfitta per la propria virilità.

Quando compare la depressione post partum?

Non esiste una tempistica standard in quanto molto dipende dal tipo di sintomi, dall’esperienza del parto e dalle caratteristiche personali di ciascuno; in generale i sintomi della depressione post parto si manifestano nei primi 3 mesi, ma l’inizio può essere anche improvviso. Se non trattata, la depressione può diventare cronica, con un rischio di recidiva maggiore in caso di successive gravidanze.

Generalmente nel giro di un anno la depressione può sparire, ma non è detto che la scomparsa dei sintomi rappresenti la completa guarigione, anche per le conseguenze che possono emergere durante tutta la durata della malattia.

La diagnosi della depressione post partum si basa sulla valutazione clinica e sull’individuazione dei criteri che prevedono la presenza di almeno 5 o più sintomi di quelli specifici per due o più settimane. Spesso la diagnosi risulta difficile per il timore e la difficoltà di riconoscere e riferire quanto si sta provando.

Esiste uno strumento di screening, la scala di Edimburgo, che permette di individuare quali sono le donne a rischio di depressione o che si trovano in uno stato depressivo.

Conseguenze e rischi per mamma e bambino

La depressione è sempre un problema di salute serio, sia per chi la vive che per le persone che condividono questa situazione. Nel caso della depressione che insorge dopo il parto sono da considerare le conseguenze sulla salute della donna e quelle che possono verificarsi sul bambino. La donna va incontro a problemi di salute anche come conseguenza dei disturbi del sonno e dell’alimentazione, senza dimenticare l’impatto, personale, sociale, emotivo e professionale che si sperimenta durante la depressione.

Sono poi da considerare la difficoltà o l’incapacità nell’allattamento al seno, il rischio di saltare le visite dal pediatra, la possibilità di sviluppare scarsi legami con i figli (non solo con il neonato), tensioni familiari, pratiche educative negative e conseguenze sulla propria incolumità nei casi di tentativo di suicidio.

Il bambino è a maggior rischio di problemi dello sviluppo, obesità, compromissione delle abilità sociali, disturbi del comportamento e problemi di apprendimento, disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), pianto eccessivo, disturbi alimentari, disturbi del sonno e il rischio del peggioramento di patologie che un genitore depresso potrebbe ignorare, non riconoscere o sottovalutare.

Depressione post partum, cosa fare? Cure e trattamenti

Prima di vedere nel dettaglio qual è la cura prevista per la depressione post partum, è da capire come comportarsi quando si sospetta una condizione di questo tipo. La tempestività e la capacità di chiedere aiuto sono fondamentali, anche in una fase iniziale di confronto con il proprio medico di base, il ginecologo o l’ostetrica.

Ciò che va assolutamente evitato è la sottovalutazione del problema e il pensare di potercela fare da soli, che la depressione sia una condizione sostenibile e passeggera, che si hanno problemi mentali e che si è colpevoli o incapaci di affrontarla.

Va altresì detto che se è vero che il coinvolgimento del partner, della famiglia e degli affetti più stretti può rivelarsi prezioso nel gestire la depressione, questa non può essere sostitutiva  della cura che deve sempre e comunque passare per la valutazione di uno specialista.

Questo perché il trattamento di prima linea prevede la psicoterapia e l’assunzione di farmaci antidepressivi. Parallelamente vanno gestiti tutti quei rischi potenziali che magari si manifestano con problemi di lieve entità ma che vanno comunque tenuti sotto controllo per evitare che peggiorino. È il caso, per esempio, di una donna che non riesce ad allattare al seno. In questi casi la terapia farmacologica potrebbe essere un problema e va quindi individuata una strategia specifica per quella situazione per garantire sia al bambino il giusto nutrimento e accudimento sia la tutela della salute e della dignità della donna.

Sicuramente, laddove possibile, un auto-aiuto è particolarmente importante. Trovare qualcuno con cui condividere quanto si sta provando senza essere giudicate, trovare il tempo per fare altro e possibilmente qualcosa di piacevole, fuggire la tentazione di dover essere perfetti, riposare, evitare l’assunzione di droghe e l’abuso di alcol e seguire uno stile di vita sano, comprensivo di alimentazione ed esercizio fisico regolare, è di vitale importanza.

Parallelamente vanno valutati gli aiuti psicologici e le psicoterapie migliori per la gestione di quella condizione. Nei casi più gravi, specialmente quelli nei quali vi è il rischio di nuocere alla propria e altrui incolumità, si può ricorrere al ricovero affidando il bambino alle cure dell’altro partner o di persona fidata e qualificata.

La buona notizia, in conclusione, è che dalla depressione post partum si può guarire e uscire e che si riesce a farlo prima e meglio quando si riconosce a questa patologia la giusta importanza senza pregiudizi e fuggendo la tentazione di non considerarla come una malattia a tutti gli effetti. La cosa fondamentale è parlarne, informarsi ed educare ad una cultura che non stigmatizza il malessere psicologico ma se ne prende cura.

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