È accaduto in Brasile e rappresenta una vera e propria rivoluzione scientifica. Una donna senza utero ha potuto portare avanti una gravidanza e partorire una bimba sana grazie all’utero di una donatrice deceduta. Si tratta di un evento senza precedenti nell’ambito dei trattamenti per la fertilità perché fino ad oggi era stato possibile utilizzare solo donatori di utero vivo.

La notizia è stata pubblicata sulla rivista scientifica Lancet che ha raccontato anche dei dieci tentativi falliti a causa di aborto quando si era tentato di utilizzare l’utero di un donatore morto. Per quanto riguarda invece trapianti da donatori viventi invece, a partire dal 2013 sono già state possibili 11 nascite grazie soprattutto alla donazione dell’utero da parte di amici stretti o familiari. Il procedimento infatti, nel primo caso, è molto più difficile e delicato e per questo più soggetto ad insuccessi.

Protagoniste della vicenda, iniziata nel settembre 2016, sono una donna di 32 anni affetta da sindrome di Mayer-Rokitansky-Küster-Hauser (una patologia che coinvolge una donna ogni 4.500 e che porta alterazioni nello sviluppo di utero e vagina) e una donatrice di 45 anni, mamma di tre figli, deceduta in seguito ad un’emorragia cerebrale. Prima di eseguire il trapianto, alla prima sono stati somministrati farmaci immunosoppressori e sono stati prelevati e fertilizzati gli ovuli con lo sperma del futuro padre.

Dopo il trapianto dell’utero sono passate circa 6 settimane per la prima mestruazione e dopo 7 mesi sono stati impiantati gli ovuli fecondati dando inizio ad una gravidanza che, il 15 dicembre dello scorso anno, ha permesso la nascita di una bambina perfettamente sana di 2,5 kg.

Questo successo, se replicato, rappresenterebbe un notevole passo avanti nelle cure per la fertilità, mostrandosi come valida alternativa alla maternità surrogata o all’adozione. Questo dipende soprattutto dal fatto che il numero di donne pronte a donare i propri organi dopo la morte è potenzialmente molto più ampio rispetto a quelle che li offrono in vita, un numero per il momento limitato solo ai parenti e agli amici molto stretti. Inoltre l’utilizzo di donatori deceduti ridurrebbe i costi della pratica diminuendo gli inevitabili rischi del trapianto da persona vivente. Dall’altra parte, però, potrebbe creare una disparità tra la richiesta e la disponibilità di organi, come già accade.

In Europa si parla di primi tentativi in questo senso già a inizio 2019, partendo dal Regno Unito, dove gli esperti si sono detti rassicurati da questo risultato. Resta ovviamente la necessità di confrontare sul lungo termine i risultati degli effetti delle donazioni dei donatori vivi e deceduti e le tecniche chirurgiche e di immunosoppressione dovranno essere ulteriormente ottimizzate in futuro.

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