Donne italiane sempre più indirizzate verso il cesareo. È quanto emerge da una recente indagine del Ministero della Salute, basata sui certificati di assistenza al parto.

I riscontri infatti, parlano di una percentuale via via crescente, a seconda che si faccia riferimento ad ospedali pubblici (nel 30% dei casi il parto avviene con il ricorso al bisturi), oppure a cliniche private, dove invece la percentuale di incidenza dell’intervento chirurgico arriva fino al 70%. In media il ricorso al parto cesareo avviene nel 36% dei casi censiti su tutto il territorio nazionale.

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Una percentuale che risulta essere molto al di sopra delle cifre raccomandate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Secondo quest’ultima infatti, un tasso di tale procedura che si aggiri intorno al 15 % sarebbe indicativo di buona qualità nell’assistenza ostetrica.

Il giudizio è coerente con l’impostazione culturale originaria che induceva a considerare il taglio cesareo quale pratica ostetrica per le partorienti che presentassero complicanze mediche, particolarmente sconsigliato rispetto ad un parto vaginale nelle donne che non avessero mai fatto il cesareo. Attualmente, invece, sono in aumento i casi in cui si opta per il taglio come scelta preferenziale, prima o durante il parto, anche quando non ci sono le indicazioni mediche per farlo: si parla di un’incidenza del 90%.

Le ragioni che favorirebbero il fenomeno sarebbero molteplici; l’eccessivo numero di cesarei nel nostro Paese sarebbe da attribuire in primo luogo all’atteggiamento difensivo dei medici. Per non correre i rischi di complicanze che un parto fisiologico può comportare, i camici bianchi preferiscono optare per quello chirurgico, tra l’altro più comodo perché programmabile.

La situazione descritta non è affatto gradita da tutti, tanto che il ginecologo Giuseppe Palumbo, presidente della Commissione Affari Sociali della camera, ha presentato un disegno di legge che fra gli altri obiettivi punta proprio a favorire il parto fisiologico, riducendo la percentuale dei tagli cesarei. La legge, in particolare, richiede fondi per incrementare l’uso dell’analgesia epidurale, e un aumento del numero di anestesisti, così da favorire anche una riduzione dei costi legati alla degenza post-cesareo, solitamente di 3-4 giornate.

Si pone sulle stesse posizioni Carlo Sbiroli, presidente dell’Associazione Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani (Aogoi) che punta il dito sulle strutture non adeguatamente equipaggiate in Italia ed ancora una volta sulla paura dei medici di assumersi responsabilità.

“Sul 70% dei cesarei, nelle strutture private un buon 25% – commenta Sbiroli – si può attribuire al timore del medico della casa di cura privata di essere denunciato per errori o malpractice, e dunque alla conseguente preferenza verso la strada meno rischiosa: quella del cesareo”.

Anche le donne però tendono a richiedere con più sistematicità il cesareo, “circa il 7-8% dei cesarei viene chiesto espressamente dalla futura mamma, per evitare un travaglio lungo o doloroso, lacerazioni o prolasso uterino. In questi casi il medico fa la sua parte, informando la donna, ma nella maggior parte dei casi la asseconda, per non rischiare e per non trovarsi poi con una denuncia, in caso qualcosa vada storto”.

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L’accentuazione del fenomeno ha determinato una crescente preoccupazione al punto che il i medici dell’ospedale
Fatebenefratelli di Napoli, insieme all’assessorato alla Sanità, hanno ritenuto opportuno definire delle Linee guida ed avviare una serie di riflessioni su come arginare il fenomeno. I problemi però sono destinati a rimanere. “Infatti – afferma il dott. Antonio Chiantera, ostetrico e ginecologo all’ospedale Fatebenefratelli di Napoli e segretario nazionale dell’Aogoi – è che queste misure richiedono una ristrutturazione e un rifinanziamento delle strutture sanitarie che non è avvenuto o stenta ad essere attuato”.

Una situazione dunque che somiglia a tante altre e che rischia di essere destinata a rimanere tale ancora per chissà quanto altro tempo.

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