Con quanti nomi lo abbiamo chiamato: pulce, fagiolino, amore, esserino, bimbo. E come lo abbiamo immaginato: biondo, bruno, con il naso del babbo, gli occhi di mamma… E quando è nato? Lo abbiamo subito riconosciuto, abbiamo avuto un attimo di smarrimento dopo le sofferenze del parto. Lo abbiamo portato a casa. Piange? Perché? Queste ed altre mille sono le domande che i genitori si pongono di fronte al figlio sia durante l’epoca della gravidanza, sia quando il bimbo è nato.

Riconoscere in quel bambino ormai nato la stessa creatura che poco prima viveva nella pancia della mamma è uno dei passi fondamentali nella comunicazione con il bimbo, per fare questo è importante relazionarsi con la nostra creatura da quando questa vive, da quando è “bimbo prenatale”.
Prendendo a prestito le parole di Gabriella Arrigoni Ferrari (Presidente dell’ANEP Italia), il bimbo prenatale ha il “diritto di essere ascoltato, capito, accettato e amato così com’è, ricevendo adeguati feedback ai suoi messaggi e apprezzamento positivo nelle sue iniziative”.

La scienza ha ormai riconosciuto al bimbo prenatale competenze che finalmente lo dotano di un’esistenza non solo fisica, corporea ma anche di un’anima, definendolo un essere capace di vedere, sentire, comunicare; in pratica riconoscendogli la capacità di relazionarsi con il mondo esterno.
Il primo passo nella comunicazione con il nascituro è (come sempre dovrebbe essere) imparare ad ascoltare: la gravida si apre naturalmente all’ascolto attivo del suo bambino anche grazie all’aumento del progesterone che ne favorisce il processo di interiorizzazione.

Ma quale ascolto? Distinguiamo tre modalità di ascolto:

  1. Ascolto finto: Ascolto “a tratti”, lasciandosi catturare da distrazioni, dall’immaginazione e comunque fidandosi dell’intuito che precocemente cattura le cose “importanti” tralasciando quelle meno importanti. Ascolto quindi passivo, senza reazioni, vissuto solo come opportunità per poter parlare.
  2. Ascolto logico: Ci si sente già soddisfatti quando ci si scopre ad ascoltare applicando un efficace controllo del significato logico di quello che ci viene detto. L’attenzione sarà concentrata sul contenuto di ciò che viene espresso ed anche l’interlocutore potrebbe avere l’errata convinzione di essere stato capito.
  3.  Ascolto attivo-emotivo (o attivo-empatico): Ci si mette in condizione di “ascolto efficace” provando a mettersi “nei panni dell’altro”, cercando di entrare nel punto di vista del nostro interlocutore e comunque condividendo, per quello che è umanamente possibile, le sensazioni che manifesta. Da questa modalità dovrebbe essere escluso il giudizio, ma anche il consiglio e la tensione del “dover darsi da fare” per risolvere il problema.

Il bimbo si ascolta “emotivamente”, ci si mette nei suoi panni; la comunicazione col bimbo prenatale è innanzitutto rispetto dei tempi e delle modalità di risposta di una personalità in formazione. “Il silenzio, l’atteggiamento interiore e l’ascolto sono indispensabile condizioni preliminari per qualsiasi tipo di vera comunicazione interpersonale”. Con il bambino in utero è, come per tutti, importantissimo l’atteggiamento interiore nei suoi confronti. Il bambino va accolto ed ascoltato dandogli tutta la nostra attenzione e stando in silenzio, creando uno spazio vuoto ed accogliente in cui si possa esprimere. Bisognerà che il piccolo si senta accettato, senza riserve, “così com’è”; sarà necessario chiedere il permesso (“Ti va?”) prima di entrare in relazione con lui e attendere che questo permesso ci venga accordato (“uno spazio silenzioso, accogliente in cui egli ci ascolta”).

Nell’ascolto è necessario un feedback (= informazione di ritorno) positivo, tenendo presente che il processo di comunicazione è una funzione ricorsiva, in cui la risposta influenza la successiva emissione a tal punto che individuare emittente e ricevente diventa impossibile.

Come si mette in pratica tutto ciò?

La risposta è: bonding prenatale.

Il bonding è essenzialmente accadimento, relazione, coccole… la “comunicazione prenatale è basata sulla voce, sui suoni, sul movimento e sulla tattilità ma soprattutto sull’apprendimento di una gestione consapevole delle nostre trasmissioni psichiche nei confronti del bambino” (G. A. Ferrari). È quindi importante dare ai genitori (è importantissimo anche il papà) degli strumenti con i quali imparare a relazionarsi con la loro creatura, insegnare loro ad ascoltare a scambiarsi segnali emozionali e, perché no, anche fisici.

Fino al quarto mese compiuto della gestazione il rapporto con il nascituro è prevalentemente interiore ed avviene attraverso canali psichici di mamma e bambino poi le risposte diverranno avvertibili anche fisicamente dalla madre la quale pian piano imparerà a decifrarle. A sua volta si potranno rimandare al bimbo segnali tattili e sonori che arricchiranno il legame bimbo-genitori.

Quel bimbo dentro alla pancia è lo stesso bimbo che prendiamo in braccio subito dopo il parto…

Dr. Cristina FiorePrenatal Tutor

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