È stato effettuato il primo trapianto di utero in una donna alla quale era stato tolto il suo organo riproduttivo 6 anni prima in seguito ad un’emorragia post-parto. L’eccezionale intervento è stato eseguito due anni fa, in Arabia Saudita su una donna saudita di 26 anni.

A donare l’organo è stata una donna di 46 anni le cui condizioni mediche avevano richiesto l’isterectomia. A eseguire il delicato intervento, riportato sulla rivista International Journal of Gynecology and Obstetrics, è stata l’equipe medica della dottoressa Wafah Fageeh, del dipartimento di ginecologia dell’università di Abdulaziz, Gedda. Si tratta di un “primo e parziale successo”, affermano i medici, perché l’organo impiantato ha resistito grazie alle terapie antirigetto per 99 giorni, dopo di che è stato tolto a causa di una trombosi acuta.

Prelevando l’organo dalla donatrice, i chirurghi hanno dovuto prestare particolare attenzione a mantenere integri i vasi sanguigni, che avrebbero poi dovuto essere “riallacciati” con quelli della ricevente. Perché l’intervento potesse essere completato con successo i medici hanno anche dovuto “allungare” alcune vene e arterie, prelevando frammenti di vasi sanguigni dalla vena safena della gamba della paziente.

Soddisfatti comunque i medici, che commentano la vicenda come un parziale successo: “L’asportazione dell’organo non è un insuccesso, in quanto l’utero ha dimostrato la capacità di rispondere alla terapia con estrogeni e progesterone, con una crescita dell’endometrio di ben 18 millimetri, e provocare mestruazioni. Ulteriori studi clinici e un miglioramento della tecnica chirurgica – puntualizza Fageeh – potrebbero far sì che il trapianto di utero possa essere utilizzato nel trattamento dell’infertilità, specialmente nelle comunità dove la pratica della maternità surrogata è inaccettabile per differenti posizioni etiche e religiose“.

Per altri, invece, l’esperimento ha dimostrato che l’operazione è tecnicamente possibile, ma pericolosa ed eticamente discutibile.

Infatti, sono molti gli scienziati che considerano non realizzabile il trapianto di utero per la complessità dei vasi sanguigni connessi. Secondo il dottor Roger Gosden, pioniere degli studi sulla fertilità negli Usa, “il trapianto può essere preso in considerazione per salvare una vita, ma non come cura per l’infertilità“.

C’è anche chi, come il professor Ignazio Marino, direttore dell’istituto mediterraneo dei trapianti di Palermo, definisce l’intervento come: “Eticamente inaccettabile e può essere considerato come accanimento terapeutico, anche se l’obiettivo è la procreazione. Il primo caso di trapianto di utero in una donna – afferma Marino in una nota – pone importanti quesiti medici ed etici. Si tratta di un trapianto di un organo non salvavita e nemmeno determinante per la qualità di vita della persona sottoposta all’intervento”. Secondo il chirurgo “é importante ricordare che dopo il trapianto sarà necessaria la somministrazione di una terapia antirigetto con i rischi ad essa correlati come l’ipertensione, il diabete e persino alcuni tipi di tumori. A questo si aggiungono rischi elevati per la vita stessa della donna e per il feto durante l’eventuale gravidanza. Certo – aggiunge – la procreazione è un aspetto importante della vita degli esseri umani ma eseguire un trapianto di questo tipo potrebbe forse essere considerato come una forma di accanimento terapeutico nel perseguire la procreazione. Dobbiamo chiederci – conclude Marino – se sia accettabile questo tipo di chirurgia per uno scopo che, rispetto per esempio ad una adozione, sembra essere l’apoteosi dell’egoismo individuale. Il fatto che l’intervento sia tecnicamente fattibile è irrilevante, è la problematica etica che non deve essere aggirabile“.

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  • Patologie in gravidanza