I neonati e i bambini in genere piangono. Sebbene si tratti di una condizione comune (sarebbe preoccupante il contrario) il pianto del bambino può voler dire tante cose, a volte anche essere il sintomo di problemi di salute gravi. È importante, quindi, che i genitori sappiano riconoscere le diverse tipologie di pianto dei neonati che non hanno altre modalità di comunicazione.

Oltre a non parlare, infatti, spesso per i più piccoli è difficile anche comprendere qual è la causa del fastidio (non necessariamente fisico) che stanno vivendo e il pianto è l’unica forma che hanno per comunicare e per “sfogarsi”.

Scopriamo quindi quali possono essere le cause del pianto di un neonato, come comportarsi per consolare il bambino rispondendo alle sue esigenze e quando, invece, è necessario preoccuparsi e rivolgersi a un medico.

Le cause del pianto dei neonati

I neonati, riferisce WebMD, la testata online statunitense specializzata nel fornire informazioni in materia di assistenza sanitaria, trascorrono dalle 2 alle 3 ore delle loro giornate piangendo. Questo a conferma di come si tratti di un’esperienza comune e per molti aspetti anche fisiologica in quanto, come precisato dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, il pianto è il modo con cui i bambini più piccoli esprimono i loro sentimenti e le proprie esigenze.

Possiamo considerare a tutti gli effetti il pianto del neonato come una forma di comunicazione; la forma di linguaggio tramite la quale il piccolo richiama l’attenzione dei propri genitori e di chi si prende cura di lui. Il Manuale MSD fa notare come questo tipo di pianto tenda a diminuire, sia in durata che in frequenza, a partire dal 3 mese di vita.

Il pianto può essere distinto in organico (il 5% dei casi) e funzionale (il restante 95%). Nella prima forma rientrano quelle cause patologiche che, sebbene rare, devono comunque essere prese in considerazione (quando ci sono gli elementi per farlo) dai genitori. Tra queste cause organiche rientrano:

  • insufficienza cardiaca;
  • meningite;
  • trauma cranico.

Tra queste condizioni, sebbene non sia una vera e propria causa organica, rientra anche la colica. Come evidenziato nell’approfondimento dedicato all’argomento dall’Associazione Culturale Pediatri (ACP) questo risulta essere un pianto particolarmente “rabbioso” che si manifesta prevalentemente di pomeriggio e di sera durante il quale il bambino agita le braccia, flette le gambe e muta l’espressione del volto.

È un pianto inconsolabile che può essere intervallato da momenti di quiete. Generalmente non indica una malattia o un disturbo ed è un’attività fisiologica del lattante tramite la quale egli comunica.

Molto più comuni, invece, sono le cause funzionali che possono comprendere:

  • fame;
  • stanchezza;
  • pannolino sporco o altri disagi;
  • troppo caldo;
  • troppo freddo;
  • malattia o dolore;
  • collera.

L’istituto Superiore di Sanità include tra i motivi per cui un bambino piange anche i farmaci, la caffeina e il fumo di sigaretta assunto dalla madre che allatta al seno. Vi è anche un pianto legato a bambini “ad alto bisogno”, ovvero quelli che rispetto ad altri hanno più bisogno di essere tenuti e portati in braccio e per questo piangono quando ciò non avviene.

Le diverse tipologie di pianto

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Fonte iStock

Come abbiamo visto esistono numerose cause che spiegano non solo il perché il neonato piange, ma anche perché lo fa con una certa frequenza e regolarità. Il pianto da fame, uno dei più comuni, può in qualche giorno (specialmente a 2, 6 settimane e 3 mesi) essere più intenso in quanto il bambino, probabilmente perché sta crescendo, ha un maggiore bisogno di essere nutrito. Inoltre il pianto da fame può essere legato anche alle difficoltà di attaccamento al seno (tipiche nei primi giorni di vita del bambino) che possono determinare un iperproduzione di latte. Anche se la madre stacca il bambino anzitempo dal seno e poi lo riattacca all’altro il bambino prende troppo primo latte e poco ultimo latte e può lamentarsi piangendo.

I bambini piccoli più sono stanchi più diventano lamentosi e possono piangere se non riescono a rilassarsi e ad addormentarsi. La maggior stanchezza, specialmente nei primi mesi di vita, non è legata a un miglior addormentamento e a una maggiore qualità del sonno.

Il neonato può poi piangere per esprimere un disagio legato alla temperatura (ha troppo caldo o troppo freddo), alle condizioni igieniche (ha il pannolino troppo pieno che lo infastidisce) e a un fastidio che non si riesce a soddisfare e risolvere e che porta il bambino ad avere un pianto più “aggressivo”, detto appunto collera.

C’è poi tutta la casistica del pianto da dolore per colpi, cadute, e urti subiti, così come per una malattia (febbre, infezioni, eccetera) o per altre patologie che possono causare fastidi.

Come riconoscere il pianto del neonato?

Oltre a essere causato da diverse condizioni ed esigenze, il pianto si differenzia anche per le caratteristiche con cui si manifesta. Questo è un elemento fondamentale da conoscere e considerare perché aiuta i genitori a comprendere le necessità del proprio bambino e a poterle gestire prontamente e correttamente.

Il pianto da fame generalmente inizia con un’intensità bassa per poi aumentare fino a diventare ritmico. Il pianto da collera, invece, ha una tonalità più bassa ma un’intensità costante. Il pianto da dolore, invece, è da subito forte, intenso e prolungato a cui fa seguito una fase di silenzio e singhiozzi alternati da inspirazioni brevi.

Cosa fare e quando preoccuparsi

Esistono, anche in relazione alla causa e alla tipologia di pianto, una serie di atteggiamenti e suggerimenti che i genitori possono mettere in atto per calmare il neonato. La prima cosa da fare, ovviamente, è rispondere alla causa. Se il neonato ha fame va nutrito, se ha freddo coperto o modificare la temperatura della stanza e se ha dolore consolato e curato. La risposta del bambino può essere utile anche per capire se si è individuata la causa del pianto o meno. Inoltre con il passare del tempo i genitori imparano a conoscere il proprio bambino, le sue caratteristiche e abitudini e riescono a gestire adeguatamente il pianto ordinario, escludendo quindi tutte le principali cause funzionali.

In generale il consiglio dato dai pediatri è innanzitutto quello di parlare, cantare, cullare dolcemente, far ascoltare musica o rumori bianchi al neonato in modo da rassicurarlo e calmarlo. Anche l’utilizzo del ciuccio può essere utilissimo per calmare il neonato (anche quelli allattati al seno, ma non prima della seconda settimana). Un altro consiglio di cui tenere conto è quello di ridurre le stimolazioni visive, uditive e tattili in modo da rendere l’ambiente più tranquillo e rilassante.

Prendere in braccio il neonato e cullarlo, così come avvolgerlo in fasce per tenerlo stretto a sé, aiuta a calmarlo, ma solo se l’uso di queste pratiche è consolidato sin dalle prime settimane, altrimenti potrebbero rivelarsi inefficaci.

Oltre ai consigli su cosa fare è importantissimo sapere cosa va evitato per il bene sia del bambino che dei suoi genitori. Il pianto inconsolabile, come può essere quello delle coliche, può mettere a dura prova la serenità e la pazienza dei genitori, soprattutto di quelli che proprio per questi pianti faticano anche a dormire la notte. Va assolutamente evitato di scuotere i neonati; oltre a essere inutile la sindrome del bambino scosso può rivelarsi controproducente (anche in maniera grave).

Quando ci si rende conto di aver raggiunto il limite (ed è legittimo e normale, non un demerito delle proprie capacità genitoriali) si può chiedere un supporto a qualcuno o trovare soluzioni per allontanarsi dal bambino e recuperare la tranquillità necessaria.

E se lasciassi piangere il neonato? Questa è una domanda che in molti si pongono, soprattutto perché vi è una tesi molto diffusa per cui lasciar piangere un bambino per qualche minuto non farebbe del male al piccolo. Anzi, ci sono dei veri e propri metodi che insegnano ad avere un’attesa progressiva durante la quale lasciar piangere il bambino prima di intervenire, in quanto questo approccio aiuterebbe il bambino a imparare a calmarsi da solo.

Ma cosa accade in un bambino quando piange? L’Associazione Culturale Pediatri ha pubblicato un articolo dedicato nel quale si analizza proprio questo comportamento. Di certo c’è che durante il pianto nel neonato e nel bambino aumentano i livelli di stress; una condizione che nel lungo periodo potrebbe danneggiare il sistema nervoso centrale e compromettere la capacità di apprendimento e la crescita.

Lasciar piangere un bambino può traumatizzarlo e non ha nessun valore pedagogico; anzi, piangono di più se li si ignora. Anzi, il contatto costante e continuo dei genitori con i figli assicura loro una crescita migliore nelle loro fasi di sviluppo.

Quando, invece, preoccuparsi? L’indicazione generale è quella di rivolgersi al pediatra o a un medico quando il pianto del bambino risulta inconsolabile e prolungato e non legato a nessuna delle cause funzionali.

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