Anonimo

chiede:

Salve,
ho 29 anni ed ho appena avuto un raschiamento: ero all’11a settimana della mia prima gravidanza e, prima di arrivare all’operazione, ho sofferto per quasi un mese, fra speranza e paura di un aborto. Mi spiego: alla prima ecografia, all’8a settimana, c’era solo la camera gestazionale e il mio medico mi ha informato della possibilità che fosse un caso di “uovo cieco”, chiedendomi comunque di ripetere l’ecografia la settimana seguente. Ho passato la settimana a piangere, piangevo anche nel sonno, e all’ecografia successiva è successo un piccolo miracolo: c’era un piccolo embrione, come se fossi incinta di 6 settimane. Il mio ginecologo è andato “con i piedi di piombo”, dicendomi che poteva andare tutto bene, ma c’era anche la possibilità che l’embrione non fosse “giusto”, e mi ha consigliato di ripetere un’altra ecografia dopo due settimane. A quel punto avremmo dovuto vedere il battito, se tutto fosse andato bene…Una settimana prima della visita noto delle perdite quasi impercettibili, per sicurezza vado in ospedale dove mi fanno una prima eco dalla quale risulta che ho avuto un aborto interno, e la gravidanza si era interrotta da parecchi giorni. Mi ricoverano, passo la notte in ospedale. La mattina dopo scopro di essere in lista per il raschiamento, ma non avevo ancora potuto parlare con il mio dottore e chiedo la conferma di un’altra ecografia. L’altra eco, fatta da un altro medico, è completamente diversa da quella della sera e l’ecografista stesso non esclude che la gravidanza proceda in modo corretto. Parlo con il mio ginecologo e lui mi fa dimettere. A questo punto comunque sono già convinta che il mio piccolo non c’è più, e per avere una conferma fisso una visita con un ottimo ecografista. Lui, finalmente, dopo tre settimane di sofferenza, mi conferma che la mia gravidanza si è interrotta, chissà, forse nel giorno del piccolo miracolo. Adesso, dopo il raschiamento, passo le mie giornate a cambiare umore: un momento sono tranquilla e serena, un altro sono quasi su di giri e l’attimo dopo mi trovo a piangere disperatamente. Non voglio scaricare altro dolore su mio marito e, per uno scherzo del destino, non posso sfogarmi neanche con la mia migliore amica, perché è incinta di poche settimane, e non voglio che debba agitarsi per i problemi miei. Cerco di farmi vedere tranquilla e serena, ma questo ruolo mi pesa, ho paura di non riuscire a rendermi conto del confine fra il dolore naturale per l’aborto e la tortura mentale, ed ho paura che se avessi bisogno di aiuto non riuscirei a capirlo. Lei cosa mi consiglia? È bene che mi rivolga subito ad uno psicologo o tutto il mio dolore sta facendo il suo corso, ed è normale sentirsi così?

Non credo che la sofferenza possa avere valore terapeutico: un conto è l’elaborazione del lutto, un conto è il dolore profondo e gratuito. Lei deve trovare qualcuno con cui parlare, confrontarsi, per archiviare il passato e tornare a sperare nel futuro. Ce la farà… Coraggio!

* Il consulto online è puramente orientativo e non sostituisce in alcun modo il parere del medico curante o dello specialista di riferimento

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