Quando la gravidanza supera la data presunta del parto e giunge tra la 41^ e la 42^ settimana è possibile che il ginecologo voglia sottoporre la sua paziente ad amnioscopia, un esame considerato – in passato – utile per ricercare un’eventuale sofferenza fetale.

Sebbene sia semplice e indolore, si tratta comunque di una pratica ostetrica invasiva, per questo ormai desueta, e che può presentare eventuali controindicazioni.

Scopriamo qualcosa in più sull’amnioscopia, a cosa serve, come si effettua, quali sono i possibili rischi e le conseguenze e se esistono delle alternative diagnostiche.

Amnioscopia: cos’è e a cosa serve

In base a quanto riportato sul Dizionario Salute del Corriere della Sera, l’amnioscopia, nota anche come amniografia, è

Un procedimento attuato nella tradizionale pratica ostetrica, utilizzando un apposito strumento, detto amnioscopio, formato da un tubo di diametro vario (metallico dalla forma conica, con mandrino all’interno, capace di emettere un dispositivo a luce fredda, ndr). Il calibro dello strumento è commisurato al grado di dilatazione del collo. L’applicazione allo strumento di una sorgente luminosa consente di esplorare l’interno dell’utero gravido e di valutare lo stato del feto e del liquido amniotico.

Il fascio luminoso evidenzia il colore del liquido amniotico nella gravidanza a termine: il colore chiaro indica uno stato di benessere fetale; se scuro, invece, è possibile che ci siano problemi di ossigenazione fetale, accompagnati da emissione di meconio, rendendo il colore del liquido verdastro.

Ad ogni modo l’esito del liquido amniotico limpido è temporaneo, perché non si può prevedere il rilascio successivo di meconio, secondo quanto riportato da NCBI – National Center for Biotechnology Information.

Amnioscopia: come si effettua

L’amnioscopia si può effettuare nell’ultimo mese di gravidanza patologica, che include problemi di diabete, ipertensione arteriosa e ritardo nella crescita fetale, quando si supera di gran lunga la data presunta del parto o durante il travaglio.

In genere, si aspettano sempre, come minimo, le 40 settimane, come riporta il Dizionario Salute del Corriere della Sera, e si effettua soprattutto dopo la 42esima settimana. Questo perché la placenta inizia presumibilmente a invecchiare dopo le 40 settimane; per questo è sospettabile una sofferenza fetale da tenere sotto controllo.

Per effettuare l’esame e consentire l’introduzione dell’amnioscopio, la cervice deve essere sufficientemente dilatata. Non si può, dunque, effettuare se il collo dell’utero è chiuso.

Una volta inserito lo strumento, viene proiettato un fascio di luce che mostrerà la colorazione del liquido amniotico.

Amnioscopia: controindicazioni

L’esame è semplice, indolore ma invasivo. Tuttavia sono rari i casi in cui possano presentarsi problematiche. È però importante ricordare che, come ogni esame diagnostico interno, bisogna sempre operare in regime di assoluta pulizia, quindi il personale sanitario dovrà tenere conto delle comuni cautele di sterilità ed eseguire l’indagine con delicatezza manuale, così da non ledere mamma e feto.

Tra i possibili fattori di rischio troviamo:

Dopo aver effettuato l’amnioscopia, possono comunque verificarsi delle conseguenze. La più comune è la rottura prematura e tempestiva delle membrane, motivo per cui l’amnioscopia non va effettuata mai prima della 36^ settimana.

Oltre alla rottura delle membrane, al termine dell’esame, possono verificarsi ulteriori conseguenze, tra cui contrazioni uterine dolorose e lieve sanguinamento della cervice uterina. In ogni caso bisogna sempre assicurarsi dell’assenza di un deflusso di liquido dalla vagina.

Sempre il database del National Center for Biotechnology Information sottolinea che

È importante ricordare che l’amnioscopia potrebbe in alcuni casi portare a gravi infezioni con corioamnionite (infezione intra-amniotica, ndr) che a volte portano alla morte del feto.

Ricordiamo che l’amnioscopia non è più una pratica comune, in quanto i ginecologi preferiscono indagini diagnostiche più specifiche e meno invasive, come l’AFI, la misurazione ecografica del liquido amniotico, associata al monitoraggio del feto.

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