Anonimo

chiede:

Buongiorno dottoressa, ho appena letto la lettera di Claudia e mi è sembrato di leggere molti dei miei pensieri, con la differenza che io non mi sento a disagio con i bambini (a meno che non siano neonati), anzi, sono insegnante di Scuola dell’Infanzia e devo dire che adoro il mio lavoro e i bambini adorano me. Però il desiderio di maternità proprio non ce l’ho: provo a cercare delle motivazioni per volere un figlio mio, ma mi sembra che siano solo forzature. Cerco di scavare nella mia psiche per capire i motivi di questa mia “diversità”, ma non arrivo a una conclusione: forse le già eccessive responsabilità e preoccupazioni che devo sopportare da sola per la situazione familiare piuttosto difficile (e quindi anche la consapevolezza di non avere poi una rete sociale che mi supporti nella gravidanza e nella maternità), forse il mio sofferto rapporto con la sfera prettamente legata alla femminilità in quanto portatrice di maternità (amenorrea, problemi ormonali, ovaio policistico e controlli su controlli che mi hanno “perseguitato” fin dall’adolescenza e che solo in età adulta mi hanno “lasciato in pace”, avendo raggiunto una maggiore regolarità mestruale, anche se non so se accompagnata o meno da fertilità); forse l’aver vissuto con una madre il cui unico scopo e soddisfazione della sua vita ero io (figlia unica, ahimè) e quindi, magari, una conseguente concezione della maternità come perdita dell’identità, dei propri desideri e soprattutto della propria libertà, in favore del sacrificio per poter far star bene un’altra creatura; forse il timore che tale creatura mi leghi a tal punto da dover passare sopra anche un’ipotetica futura infelicità coniugale (anche questo aspetto credo di averlo derivato da mia madre, che non si è mai separata da mio padre, adducendo come motivazione l’unità della famiglia e facendomi, involontariamente, sentire in colpa); forse un altrettanto timore di tutte le malattie e i problemi a cui possono andare incontro madre e nascituro (e probabilmente i miei studi e la mia professione di insegnante di sostegno hanno influito in ciò, aggravati dal fatto che in famiglia ci sono disturbi psichiatrici e malattie fisiche e ho paura della componente ereditaria)…. Insomma, tutte queste sono ipotesi, ma non saprei dire cosa nel mio inconscio pesa veramente. Un altro aspetto è che, pur non desiderando una maternità biologica, ho un fortissimo desiderio, che mi accompagna da quando sono grande abbastanza per pensare a dei bambini, di adottarne uno. Questo desiderio mi viene da un sincero impulso di generosità, di solidarietà e giustizia contro le ingiustizie del mondo (la mia domanda interiore è più o meno questa: “Con tanti bambini che soffrono perchè privi di una famiglia, che bisogno c’è di metterne al mondo altri? Come abitanti di uno stesso pianeta e corresponsabili di esso, non dovremmo prenderci cura di chi già c’è?)… e dunque forse anche il timore che, facendo un figlio mio, poi mi manchino le risorse (fisiche, economiche, ecc.) per avviare le pratiche per un’adozione. Ora, se fossi single, il problema non sussisterebbe; ma sono sposata da quasi 5 anni e mio marito inizia a divergere con me sulla questione. Nonostante anche lui mi assecondi nell’idea dell’adozione, vorrebbe prima avere un figlio naturale. Dice che io sono egoista a volerne uno adottato perchè non penso a lui (marito), mentre a me sembra più egoistico pensare a concepire un figlio proprio, mentre se ne potrebbe togliere un altro dalla fame, dalle guerre e dalla solitudine. Non so che fare: è vero che mi piacerebbe vedere come verrebbe un bambino da me e mio marito, ma è un pensiero astratto che, se cerco di calare nella realtà presente, subito mi blocca. So anche che non sono più giovanissima da poter rimandare ancora per molti anni questa decisione (ho 33 anni e so che, più in là si va e più rischi ci sono). So anche che mio marito ha invece il desiderio di paternità, in questo periodo accentuatosi per il fatto che tutti i suoi fratelli (ne ha 6) e molti dei suoi amici sono diventati genitori e mi ha in qualche modo chiesto di decidermi, perchè lui, con me o meno, vuol avere un figlio. Questa cosa mi ha ulteriormente ferita e forse la mia sensibilità l’ha presa come una “dichiarazione” d’amore maggiore a un figlio (che tra l’altro non c’è, quindi è solo un’idea) piuttosto che a me, come persona completa al di là dall’idea che io possa “dargli” qualcos’altro (ho volutamente scelto un’espressione di stampo patriarcale). Il mio cruccio è: come deve manifestarsi il mio amore per mio marito? Mettendo da parte il mio sentimento nei suoi confronti e lasciandolo libero per seguire il suo desiderio? Oppure mettendo da parte la mia volontà rispetto alla genitorialità e accontentandolo nel suo desiderio di avere figli (sapendo però che poi il peso maggiore ricadrà su di me)? Oppure tergiversando e dandogli speranze per il futuro (è certo vero che io posso cambiare idea e che possono venire tempi migliori, ma non ne sono mica sicura)? La prego per favore di rispondermi, perchè non so proprio più cosa fare e cosa pensare! Grazie infinitamente.

Credo che la risposta non stia in nessuna delle tre ipotesi che fa. I motivi che adduce alla sua mancanza di entusiasmo all’idea di un figlio suo sono tutti plausibili, sono tutte esperienze che possono costruire un senso della maternità, della genitorialità, dell’esperienza della gravidanza come di un’esperienza poco desiderabile. Sono motivi ed esperienze che creano paure, che bloccano il desiderio di diventare madre attraverso una gravidanza. Ma non bloccano il suo progetto dell’adozione; e allora mi chiedo quanto c’entri il timore di perdere il suo spazio e la sua identità (visto che anche un figlio adottato le chiederebbe tempo, energia, dedizione, spazio emotivo), e quanto sia il passaggio dal suo corpo dell’esperienza di maternità che la spaventa,o l’esperienza della totale dipendenza di un neonato da lei (dato che spesso con l’adozione i bambini arrivano già grandicelli). Mi chiedo anche da dove arrivi il pensiero che un figlio proprio è un atto di egoismo, paragonato all’adozione: certo, l’adozione è un gesto che va oltre il proprio progetto di genitorialità perché, come dice giustamente lei, salva un bambino da sofferenze spesso inimmaginabili. Ma questo nulla toglie all’atto d’amore insito nel generare un figlio proprio. Mi chiedo, insomma, se lei abbia in qualche modo deciso che non è capace o che non si merita un figlio suo, mi chiedo cosa la spaventa veramente dell’esperienza della gravidanza e della maternità. Dalla sua lettera mi sembra una persona con buone capacità di lettura interiore, consapevole delle sue esperienze di vita e dei loro significati. Invece di concentrarsi sulla domanda: “figlio naturale o conflitto con il marito?”, la invito ad approfondire la domanda: “perchè un figlio adottato sì e uno proprio no?”.

* Il consulto online è puramente orientativo e non sostituisce in alcun modo il parere del medico curante o dello specialista di riferimento

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