La varicella, così come l’herpes zoster (comunemente noto come fuoco di Sant’Antonio), è causata dall’infezione del Virus della Varicella Zoster (VZV). Tale virus può causare la varicella in adulti e bambini non vaccinati o non precedentemente esposti.

È un’infezione molto contagiosa, trasmessa attraverso starnuti, colpi di tosse, oggetti contaminati e liquidi fuoriusciti dalle vescicole. Dopo circa due settimane dall’esposizione all’agente infettivo compaiono punti pruriginosi che poi si trasformano in vescicole piene di liquido.

Una volta rotte si formano delle croste e poi ci si avvia verso la guarigione, anche se il virus rimane latente nelle cellule del tessuto nervoso.

Gli anticorpi prodotti durante l’infezione primaria prevengono un’eventuale nuova infezione. In un momento di calo delle difese immunitarie, però, può accadere che il virus si riattivi dalla sua latenza e migri dalle cellule nervose alla pelle, causando in questo modo l’herpes zoster.

Gli esami per la varicella consentono di rilevare la presenza del virus o dei relativi anticorpi.

Varicella in gravidanza: i rischi

La varicella fa parte, con la rosolia, il morbillo, la pertosse e la parotite, delle malattie contagiose dell’infanzia, che solitamente colpiscono i bambini tra i 5 e i 10 anni.

Il vaccino contro la varicella è solitamente consigliato alle donne in età fertile che non abbiano contratto la malattia da piccole, proprio per evitare un’eventuale varicella in gravidanza.

Questa potrebbe rivelarsi pericolosa per la salute del bambino, ma anche per quella della madre stessa.

Se contratta durante i primi 2 mesi di gestazione, la varicella può determinare embriopatia (sindrome della varicella congenita). Nelle prime 20-30 settimane di gravidanza, invece, l’infezione primaria di VZV può, seppur raramente, determinare la presenza di anomalie congenite neonatali o ancora, può far sviluppare una varicella senza disturbi (asintomatica) o un herpes zoster nei primi anni di vita.

L’infezione, come riporta l’Aogoi, non sembra aumentare il rischio di aborto spontaneo, ma la mortalità diventa più alta quando la madre sviluppa la malattia tra sette giorni prima e 7 giorni dopo il parto.

In questo caso, infatti, il neonato non è provvisto degli anticorpi materni proteggenti e potrebbe sviluppare una forma grave di varicella, con coinvolgimento cutaneo, polmonare, epatico e cerebrale.

Non sono mai stati invece evidenziati rischi legati all’allattamento: dunque si può allattare al seno, ma in caso di lesioni attive attorno al capezzolo, meglio prelevare il latte con il tiralatte e poi somministrarlo al neonato con il biberon.

Esami varicella: come si svolgono

esami varicella

Il test per la VZV serve per diagnosticare una varicella attiva, recente o pregressa. Serve anche per verificare la presenza di immunizzazione al virus o una sua eventuale riattivazione.

Il test va rilevare alcuni degli anticorpi prodotti dal sistema immunitario in risposta all’infezione o il virus stesso. Può essere effettuato per rilevare un’infezione attiva o pregressa.

Nello specifico, la diagnosi di infezione attiva è particolarmente utile in pazienti in procinto di ricevere un trapianto d’organo o nelle donne in gravidanza. Ma lo è anche per verificare l’immunizzazione al virus dovuta ad una precedente infezione o ad una vaccinazione.

Il test non richiede alcuna preparazione specifica. Si effettua un semplice campione di sangue venoso dal braccio, che viene inviato al laboratorio di analisi per la ricerca degli anticorpi anti-VZV, ed eventualmente su un campione di fluido prelevato da una vescicola per rilevare il virus.

Esami varicella: quando farli

Gli esami per la varicella sono consigliati solo in presenza di sintomi insoliti, per distinguere un’infezione da VZV da un’altra causa e per verificare l’immunizzazione.

Sono utili anche prima di un trapianto d’organo o nel caso in cui un bambino, una donna in gravidanza o una persona immunocompromessa sia stata esposta al virus della varicella.

Esami varicella: IgG e IgM

Esistono due categorie di anticorpi da ricercare nel sangue:

  • IgG: se presenti indicano che la persona è venu­ta a contatto con l’infezione. Rimangono nell’orga­nismo per tutta la vita, anche dopo la guarigione;
  • IgM: se presenti indicano che la persona ha contratto l’infezione e che questa è ancora in corso, nella fase acuta o recente. Scompaiono solo ad avvenuta guarigione, dunque se sono assenti gli anticorpi IgM, ma sono presenti gli IgG, significa che l’infezione è stata con­tratta, ma ormai è passata.
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