L’attenzione verso l’HIV è maggiore in gravidanza sia per il rischio di trasmissione dell’infezione al feto che per salvaguardare la salute della donna. Per questo l’esecuzione del test HIV in gravidanza è particolarmente raccomandato, sia come esame preconcezionale che come controllo da fare all’inizio della gravidanza.

La materia è però molto delicata e richiede alcune precisazioni, specie nel contesto della situazione epidemiologica del nostro Paese. Se è vero che la terapia esistente abbia migliorato l’aspettativa di vita delle persone affetta da HIV allineandola a quella della popolazione generale e il rischio di trasmissione materno fetale si sia ridotto a meno dell’1%, la Società Svizzera di Ginecologia e Ostetricia (SGGG) ricorda come l’assenza di una terapia specifica durante la gravidanza aumenti il rischio di trasmissione dell’infezione al 20-30%. Si comprende facilmente, quindi, l’importanza del test HIV in gravidanza.

Va però anche detto, come riportato nel documento Conferenza di Consenso sul Test HIV: Quesiti e risposte del Ministero della Salute, che a oggi non appare indicato in Italia realizzare programmi di screening generalizzati dell’infezione dell’HIV. L’esecuzione del test va offerta attivamente dai sanitari nel caso in cui sia diagnosticata una patologia compresa nell’elenco delle condizioni indicative di AIDS, una patologia associata a una prevalenza elevata di infezione da HIV o una patologia la cui gestione clinica può essere influenzata dalla presenza dell’infezione da HIV.

Nei confronti dell’HIV, come sottolinea l’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI), vi sono seri problemi medico-legali. Per eseguire il test per l’HIV è indispensabile il consenso del soggetto, in quanto qualsiasi forma di costrizione risulterebbe una potenziale discriminazione e una violazione del diritto alla privacy.

Discorso diverso, invece, per il medico che sia a conoscenza della sieropositività all’HIV di un paziente. In questi casi, come riportato dal Codice di Deontologia Medica, l’obbligo del segreto professionale può venire meno per la necessità e l’urgenza di salvaguardare la salute o la vita di terzi; per questo il medico può informare il partner del paziente sieropositivo anche senza il suo consenso.

Cos’è l’HIV?

Cose-HIV
Fonte: iStock

È utile ricordare come l’HIV è il virus che causa l’AIDS, la sindrome da immunodeficienza umana. Come riportato dal portale WebMD l’HIV è una condizione per la quale il sistema immunitario viene indebolito, riducendone le capacità di combattere infezioni e tumori.

Il contagio può avvenire mediante contatto con fluidi corporei di una persona infetta (sangue, latte materno, fluidi vaginali e sperma) motivo per cui è maggiore il rischio in rapporti sessuali non protetti (anche quelli anali e orali), dipendenza da droghe con la condivisione di siringhe e aghi sporchi e anche gravidanza. Il contagio da trasfusione di sangue è invece molto raro essendo state testate le donazioni per l’HIV.

I rischi dell’HIV in gravidanza

La sieropositività all’HIV in gravidanza è un problema sia per la donna che per il feto. La trasmissione verticale (da madre a bambino) dell’infezione può avvenire sia durante la gravidanza che al momento del parto o attraverso l’allattamento al seno.

L’infezione da HIV, come evidenziato dal portale MSD Salute, comporta che le donne con l’HIV durante la gravidanza possono avere una maggiore probabilità di contrarre un’infiammazione sistemica cronica che può determinare una scarsa crescita del bambino nel primo anno di vita.

Parallelamente c’è il rischio di trasmissione dell’infezione al feto o al neonato. A differenza di quanto avveniva in passato oggi è possibile avere una conferma dell’eventuale sieropositività del neonato già nei primi mesi di vita, in modo da intraprendere tempestivamente la relativa terapia antiretrovirale.

Il test HIV in gravidanza: quando e come fare

Questo studio raccomanda l’esecuzione del test il prima possibile all’inizio della gravidanza e durante il terzo trimestre. Le linee guida italiane raccomandano l’esecuzione del test a tutte le donne in gravidanza (da ripetere in caso di esito negativo entro la trentaseiesima settimana di gestazione se ci sono fattori di rischio per l’infezione) e al partner della donna in gravidanza. Al momento del ricovero in ospedale per il parto, in assenza di un test negativo è indicato di proporre alla donna un test per l’HIV d’urgenza in modo da gestire adeguatamente le decisioni sulle modalità di espletamento del parto.

Il test, inoltre, è raccomandato anche alle donne che si sottopongono a un’interruzione volontaria di gravidanza.

Il test per l’HIV, come riportato dal Ministero della Salute, non evidenzia immediatamente la presenza del virus, in quanto la rapidità con la quale si evidenzia l’infezione può dipendere da diversi fattori, compreso il tipo di test eseguito. Ne esistono di diversi tipo e i principali sono i test combinati (test di IV generazione) e il test che ricercano solamente gli anticorpo anti-HIV (test di III generazione). Questi test hanno un periodo temporale (detto “finestra) entro il quale riescono a rilevare l’infezione. Nei test combinati di IV generazione questa è di 40 giorni, mentre in quelli di III generazione di 90 giorni. Il prelievo di sangue, per il quale non è necessario essere a digiuno consente solitamente di ottenere un risultato dopo tre giorni.

Per eseguire il test nel nostro Paese esistono centri diagnostico-clinici AIDS dove richiedere il test. Esistono anche test rapidi salivari ed ematici da acquistare in farmacia ed eseguire autonomamente. In presenza di un esito dubbio o positivo, la diagnosi andrà confermata con un prelievo ematico.

Cosa fare se il test HIV in gravidanza è positivo

In caso di presenza di una diagnosi di HIV, come riferito dal Sistema Sanitario della Regione Lazio, la donna deve essere presa in carico da un Centro clinico di Malattie Infettive in maniera tempestiva. È infatti indispensabile iniziare il prima possibile la terapia antiretrovirale che deve essere seguita per tutta la durata della gravidanza. A tal proposito, sono disponibili diversi farmaci antiretrovirali compatibili con la gravidanza e che non hanno nessun effetto teratogeno sul feto.

L’Istituto Superiore di Sanità ribadisce come la terapia antiretrovirale (ART) non elimina l’HIV e non ristabilisce completamente la funzione del sistema immunitario e, inoltre, se non intrapresa per tempo o non seguita correttamente, ha effetti limitati, mentre il suo inizio tempestivo può sopprimere la replicazione del virus e ridurre significativamente la quantità di virus circolante fino a valori non rilevabili. È solo in questo caso che il rischio di trasmissione materno-fetale si riduce a meno dell’1%.

La sieropositività all’HIV non preclude la possibilità di ricorrere al parto naturale, che è indicato nei casi in cui la carica virale è minima e se non vi sono controindicazioni di tipo ostetrico. In caso di carica virale elevata o sconosciuta è invece indicato il parto cesareo, che se è elettivo deve essere programmato possibilmente tra la trentottesima e la trentanovesima settimana di gestazione.

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